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cose mentali

~ del perché i pensieri si muovono dentro di me

cose mentali

Archivi della categoria: estate

Riccioli neri.

04 sabato Gen 2020

Posted by emanuele in estate, me

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estate, mare, patelle, ricci, riccioli neri, sale, scoglio, sicilia, sole, spuma, tuffi

Stavi lì, seduta su uno scoglio.
Anzi, per meglio dire stavi aggrappata allo scoglio con i piedini, le dita ancorate alle sporgenze mentre l’acqua spumosa ti raggiungeva sino alle caviglie.
La pelle abbronzata e i capelli ricci e neri erano lucidi al sole.
Te ne stavi lì a guardare il mare e ogni tanto ti abbassavi, immergevi una mano in acqua e dopo qualche secondo la tiravi fuori con una patella piccola, la portavi alla bocca e la mangiavi, così come se nulla fosse.
Come fosse stata una fragolina di bosco.

Stavi lì seduta e guardavi accigliata le onde che si infrangevano a qualche metro da te, l’acqua faceva riccioli bianchi e da una certa angolazione facevano contrasto con i tuoi capelli neri.

Stavi lì su questo scoglio che sembrava un’isola da quanto era grande. Ed era bianco e grigio, cotto dal sole e dal sale.
Stavi lì a tremare di freddo, con le labbra viola e le dita grinzose.
Ammonticchiavi le patelle vuote accanto a te, e facevano una bella montagnola che brillava al sole diventando rossa come il sangue e poi si asciugava in un secondo.

E tua madre ti chiamava dalla spiaggia poco distante.
E tu, noncurante, continuavi a osservare il mare come se aspettassi qualcuno, qualcuno che ti portasse via a vedere le stelle e altri luoghi misteriosi della tua fantastia.
In quella piccola testolina riccioluta si agitavano sogni da grande.

Tua madre continuava a chiamarti e il tuo nome si confondeva tra i gabbiani in cielo e il mare davanti a te.
E così ti alzavi, le patelle cadevano come un rosario sgranato che cade a terra, finivano in mare e si perdevano nell’azzurro.
E tu le seguivi con gli occhi curiosi.
Ti mordevi le labbra salate e sorridevi.
Poi ti giravi, scendevi a passo sicuro lo scoglio, facevi i pochi metri che ti separavano dalla spiaggia quasi correndo.
E ridevi mentre tua madre preparava l’accappatoio e ti lasciavi avvolgere in quel morbido abbraccio scaldato dal sole del pomeriggio.
Ti asciugava strofinandoti la pelle abbronzata delicatamente e tu tenevi un ricciolo in bocca e lo ciucciavi come si fa con il ciuccio.

E guardavi il mare.

Un ragazzo più grande stava arrivando dalla spiaggia, aveva una rete piena di ricci e patelle e la lasciò un secondo sulla spiaggia per pulire la maschera dal sale.
A piccoli passi ti avvicinasti.
Ti accucciasti per vedere muovere gli aculei dei ricci.

– attenta che pungono – disse lui con dolcezza.
– lo so, non sono mica piccola – rispondesti piccata.
Lui sorrise.
Tirasti su lo sguardo a vedere il suo sorriso.
– non dare fastidio al ragazzo – urlò tua madre poco lontana.
– ti do fastidio? –
– nessun fastidio – rispose lui con un altro sorriso.

Allungasti un ditino per toccare gli aculei di un riccio temerario che cercava la fuga da quella rete.

– mi fai fare i tuffi? – domandasti così, dal nulla.
Ti guardò un po’ sorpreso.
– se ti da fastidio mandala via – rise tua madre avvicinandosi.
– nessun fastidio, davvero –
– visto? nessun fastidio, davvero – dissi tu – quindi? –
– decisa la piccola – disse lui.
– molto decisa – rispose per te tua madre.

Così ti porse una mano e ti fece fare tuffi per quasi tutto il pomeriggio.
Gli salivi sulle spalle esili, ma forti e ti buttavi in avanti e poi indietro riemergendo spruzzando acqua come un piccolo delfino.
I ricci stavano in acqua, al riparo dal sole in un secchio.
Alla sera li avreste mangiati tutti assieme seduti sulla terrazza di casa vostra.

E il giorno dopo lui sarebbe andato via e tu avresti aspettato il suo ritorno, estate dopo estate.

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Un tuffo nel blu.

04 giovedì Lug 2019

Posted by emanuele in estate, me, natura, racconti

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brezza, estate, mare, memorie, racconti, tuffarsi, tuffo, ulivi, vento

La mattina passa veloce e dopo pranzo decidiamo di starcene distesi a letto a goderci il fresco del ventilatore a soffitto.
Ha le pale in legno e gli inserti color oro, sembra uscito da un racconto dei primi del novecento ambientato in qualche isola caraibica.

Stiamo in silenzio, stesi come stelle marine sul letto a goderci la brezza guardando le ombre gettate sul soffitto dal sole che si riflette sul mare.
Le dita delle mani si sfiorano, sento gli occhi che si fanno pesanti.

Sogno. Non ricordo cosa. Forse una corsa in spiaggia.

Mi svegli con un bacio sulla fronte.

– uhmm –
– buongiorno bell’addormentato – mi prendi in giro tu con il tuo sorriso.

Mi stiro e mi tiro su.
Mi stropiccio gli occhi a lungo finché non vedo tutto a puntini

Mi guardi e sorridi, ancora.

– che ne dici di andare a fare un bagno? –
Annuisco.

Ci cambiamo e usciamo scalzi, un asciugamano sulla spalla e scendiamo le scale che portano alla spiaggia sottostante

Uno dei miei posti preferiti è la spiaggia, così tranquilla e isolata.
Niente schiamazzi o radio a tutto volume.

Solo il rumore delle onde e le impronte dei piedi che spariscono appena passiamo.

Mi siedo a guardarti mentre entri in acqua
Fai un po’ la diva e poi con agilità ti tuffi nel blu e sparisci alla mia vista.

Non mi preoccupo perché sei una provetta nuotatrice e infatti dopo qualche secondo e decine di metri più distante appari tu.

Mi chiami a voce alta e mi tuffo anch’io raggiungendoti con rapide bracciate.

Mi metti le braccia attorno al collo intrecciando le dita e mi tiri a te in un lungo bacio salato.

Il primo bacio.

02 martedì Lug 2019

Posted by emanuele in estate, me, profumi, racconti, ricordi

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amarsi, estate, gabbiani, limonata, limoni, mare, nonna, primo bacio, racconti, ricordi, ulivi, vivere

Siamo seduti sotto un ulivo.
In silenzio.
Gli unici suoni che si sentono sono il mare in fondo alla sciogliera, i gabbiani e le mille cicale.
Siamo appoggiati al tronco, con la schiena, e guardiamo il cielo che filtra tra le foglie e i rami che si stanno riempiendo di olive.

– ti ho mai raccontato che è stato qua che ho dato il mio primo bacio? – dici all’improvviso.
– no, non mi pare – rispondo.
Mi guardi e sorridi.
Ti giri verso di me e mi guardi coi tuoi occhi profondi.

– è successo d’estate, una giornata calda come questa però ricordo che c’era più vento e questo ulivo era decisamente più piccolo… – ti fermi a pensare guardando le fronde che si muovono piano sopra di noi.
– anche tu – aggiungo.
Sorridi.
– sì, ero decisamente più piccola… saranno passati 30 anni… –
– solo? – ti prendo in giro.
– ma! – esclami – io che volevo raccontarti una cosa carina ed emozionante e tu, invece, mi prendi in giro –

Ti giri dandomi le spalle.
Rido perchè mi piace quando fai l’imbronciata.
– non ridere sai! – dici tu incassando la testa tra le spalle.
Aspetto qualche secondo, forse un minuto intero e poi ti giri e mi riprendi con il dito alzato.
– sei proprio un cretino –
– lo sai e mi ami anche per questo… –

Alzo le mani in segno di resa e di scusa.
– uhm vediamo se ti perdonerò… –
Resto in silenzio mentre tu respiri a fondo.
– comunque ti stavo raccontando… – mi guardi socchiudendo gli occhi – che era una giornata come questa con molto più vento e c’era profumo di limoni perchè nonna stava preparando una limonata per me e alcuni amici che erano venuti su dalla spiaggia per rinfrescarsi all’ombra degli ulivi –
Ti guardi attorno e sorridi.
– c’era questo ragazzo, avrà avuto 3 anni più di me e mi piaceva da impazzire, sai quando senti le farfalle nello stomaco e diventi bordeaux in viso e vorresti scappare a nasconderti? Ecco, mi sentivo così ogni volta che mi guardava e mi sorrideva – sospiri, sognante – e che sorriso che aveva e che occhi… – mi guardi.
Ti ascolto con piacere.
– nonna mi chiese di portargli un bicchiere di limonata appena fatta, ricordo la sensazione di freddo del bicchiere tra le mani bollenti, le goccioline scendevano lungo il vetro e colavano a terra dopo essere scese lungo i polsi tremanti –
Adoro quando racconti perchè mi sembra di essere lì, dietro un albero, a guardarti.
– era girato di schiena, abbronzato coi capelli ancora bagnati, l’ho chiamato a bassa voce, un po’ perchè non mi usciva la voce e un po’ perchè non volevo che nessuno mi vedesse arrossire – ti fermi un attimo e mi sorridi – era proprio qua dove sono io, stava toccando la corteccia dell’ulivo che era già il mio preferito di tutta la tenuta; si girò e mi sorrise, sentii le gambe tremare e per un attimo pensai di svenire e far cadere e rompere il bicchiere di nonna – ridi con la mano davanti alla bocca – in quel momento era la preoccupazione maggiore: rompere il bicchiere della nonna –
Chiudo gli occhi e rivedo i bicchieri alti e dal bordo blu chiusi nella credenza della cucina.
– comunque lui si girò, mi sorrise e tese le mani a prendere il bicchiere che tremava, mi prese le mani tra le sue e mi tirò a sè: mi sentivo leggera come una foglia nel vento –
Sento l’emozione farsi spazio tra le tue parole e gli occhi si fanno lucidi, ma sorridi, è davvero un ricordo prezioso quello che mi stai regalando.
– ci guardammo come in un film e come in un film lui pose le sue labbra sulle mie, sapeva di sale e vento, le labbra era spaccate dal sole ma è il bacio che ricordo ancora adesso come se fosse accaduto poco fa – ti guardi attorno sospirando – poi qua le sensazioni sono ancora più forti – aggiungi avvicinandoti.
– hei… –
– shhh abbracciami forte e dimmi che non mi lascerai mai –
Ti stringo tra le braccia, sei piccola piccola e ti appoggi alla mia spalla.
– non ti lascerò mai –

I panni stesi.

01 lunedì Lug 2019

Posted by emanuele in estate, me, ricordi, te

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amore, baci, cielo, cielo blu, gabbiani, mare, panni, panni stesi, sapone di marsiglia, scogliera, treccia

La mattina seguente al nostro arrivo mi sveglio da solo.
Il letto è grande e tu non ci sei.
La finestra è spalancata e le tende bianche si gonfiano con il vento che arriva dal mare.
Mi guardo in giro.
Sulla sedia vicino all’armadio c’è la tua canottiera, buttata lì assieme ai vestiti di ieri.
Poi sento la tua voce che canta una canzone che non conosco: è in dialetto e sembra provenire dalla cucina.
Mi tiro su.
Il pavimento è fresco, mi avvicino alla finestra, scosto la tenda ed esco sul balcone.
Il cielo è terso e blu, il mare ha lo stesso identico colore.
Mi appoggio alla ringhiera e ti cerco con lo sguardo.
La tua voce è più forte all’esterno.

Ti vedo che esci dalla porta della cucina, che è al piano di sotto, indossi un vestito nero coi dei fiori rossi e gialli aperto sulla schiena e svolazzante, tieni tra le braccia una conca con lenzuola e appena lavate.
Sento il profumo sin da qua.
Vorrei chiamarti, ma preferisco seguirti con lo sguardo.
Ti avvicini alle corde dello stendino, poggi la conca a terra e ti raccogli i capelli in una treccia lunga.
Quanto mi piace quando ti leghi i capelli così, sono neri come la notte.
La tua pelle non ancora abbronzata fa contrasto con il vestito nero.

Adoro questo contrasto.

Mentre sistemi le lenzuola e gli asciugamani bianchi riprendi a cantare, adesso canti De Andrè.
Ti accompagno al ritornello.

Ti fermi e mi guardi dal basso.
Ti saluto con la mano continuando a cantare.
Tu sorridi.
Il mondo gira più lentamente quando lo fai, sembra quasi che tutti si fermi; i gabbiani in volo sopra la scogliera, l’infrangersi delle onde sulle rocce, le tende che si muovono attorno a me avvolgendomi mentre mi mandi un bacio.

– scendi – gridi aprendo le braccia.

Faccio le scale di corsa ed esco a piedi nudi sul prato, ti raggiungo e ci baciamo tra le lenzuola che sanno di pulito e di fresco.

Il mondo è bianco e blu e sa di baci e di sapone di marsiglia.

La casa sul mare.

29 sabato Giu 2019

Posted by emanuele in estate, immagini, me, racconti, te

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amore, carmen consoli, felicità, levante, mare, sole, tende, viaggiare, viaggio

Il viaggio fu lungo e faticoso.
Prima il volo in ritardo, poi lo scalo forzato per un problema alla radio in un aeroporto sperduto del centro Italia.
Non possiamo scendere.
Poi la sosta si prolunga e così decidono di concederci una l’ora d’aria.
– scendiamo? – chiedi guardandomi coi tuoi occhi profondi.
– certo, non ce la faccio a stare seduto ancora un minuto –
Ci alziamo e ci mettiamo in coda, la gente parlotta a bassa voce e tu mi stringi la mano stando dietro di me.
La stringi più del solito, mi volto a guardarti: sei tesa.
Cerco di tranquillizzarti con lo sguardo, ti sussurro che tutto andrà bene, che arriveremo a destinazione senza problemi.
Mi sorridi e intanto ci avviciniamo all’uscita.
L’aria è bollente quando arrivo davanti alla scaletta, la hostess ci sorride a disagio.
– scusateci per l’inconveniente – e ci consegna due bottigliette d’acqua fredda.
– grazie – dico io.
– grazie – dici tu.
Scendiamo e quasi manca il fiato dal caldo che c’è.
L’aeroporto è davvero piccolo e sembra di essere in un luogo ai confini con il deserto, si vedono delle dune di sabbia attorno alla pista e l’aria calda deforma i contorni delle cose che ci circondano.
In lontananza si vede una costruzione che offre un minimo di riparo.
Apri la bottiglia e bevi.
Poi mi prendi per mano e ci avviamo verso l’ombra, in silenzio.
Ci sediamo all’ombra, accanto ad altri passeggeri.
Si parla piano, sottovoce e si ascolta il frinire delle cicale che riempie lo spazio tra la terra e il cielo blu, terso, sopra le nostre teste accaldate.
Beviamo piano, come se quell’acqua dovesse bastarci per un giorno intero.
Mi sorridi.
Ti avvicini e mi baci piano le labbra.
Appoggi la testa alla mia spalla.
– anche se fa caldo… – sussurri accomodandoti.
Appoggio la mia alla tua testa.
Restiamo così finchè la stessa hostess delle bottigliette d’acqua si avvicina verso di noi.
La figura tremola, accaldata, sulla pista.
Ci viene incontro e sorridendoci ci avvisa che il problema è stato risolto, possiamo ripartire, ci verrà servito a bordo una colazione extra.
– un caffè fa sempre piacere – dico – specie se offerto –
Qualcuno si lamenta, altri ringraziano e ci avviamo tutti verso l’aereo.

Si riparte dopo circa 15 minuti e finalmente dopo quasi trenta minuti di volo arriviamo a destinazione.
Ci chiedono ancora scusa mentre scendiamo.
Salutiamo e ci immergiamo nel caldo che ci avvolge come una coperta.
Recuperiamo i bagagli e poi andiamo a prendere l’auto noleggiata.
– attacca subito l’aria – mi dici lasciandoti andare sul sedile, distrutta.
– subito –
Il viso riprende vita, ti stavi davvero sciogliendo.
Bevi l’acqua con calma, come se fosse vodka.
– vuoi fermarti a fare la spesa? – domando imboccando la strada che ci porta fuori città.
– non ci pensare nemmeno – rispondi – stasera ti porto in un ristorante sul mare eccezionale –
– perfetto amore –
La strada per la nostra casa sul mare è meravigliosa: passa in mezzo ai campi e agli uliveti, è tutto oro e verde e il blu del cielo.
E il blu del mare.
Che appare ogni tanto tra una collina e l’altra.
Ed è meraviglioso.
Ti addormenti e sei rilassata, non ti sveglio mentre saliamo verso le alture, da dove casa nostra domina le acque dalla scogliera.
Apri gli occhi mentre sto per imboccare il viale che porta al cancello.
– hei… siamo arrivati –
Ti rispondo sorridendoti e stringendoti la mano.
Il sole sta scendendo sul mare quando parcheggio sotto il portico.
– non prendiamo le valigie – mi dici andando ad apire la porta – ci pensiamo dopo, adesso voglio vedere il sole che tramonta sul mare –
Ti seguo in casa e apriamo le finestre, una a una.
Le tende bianche iniziano a gonfiarsi nella brezza che arriva dal mare, sembra una nave casa nostra.
Le vele spiegate verso nuovi lidi.
Spalanchi la finestra che da sul terrazzo e il blu del mare entra in casa e si riflette sulle piastrelle del pavimento.
Ti levi le scarpe ed esci stringendo la ringhiera verde scrostata dalla salsedine.
– dio, che bello! – esclami e quasi hai le lacrime agli occhi.
– bello quanto te – aggiungo abbracciandoti da dietro.

E restiamo così, abbracciati tra le tende che vanno avanti e indietro, mentre il sole scende piano verso il mare blu.

andiamo al mare?

09 martedì Apr 2019

Posted by emanuele in estate, me, parole, pensieri, racconti, te

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caffè, dormire, estate, letto, mare, moka

– andiamo al mare? – ti dico appena svegli la mattina che il sole non è ancora caldo.
– uhmm – fai tu e per tutta risposta ti giri e mi dai la schiena.
– non è una risposta accettabile – ti prendo in giro alzandomi.
– non aprire le persiane – è più un comando che un favore.
non ti do retta e spalanco le persiane che fanno entrare il sole e il mare.
– ti odio –
mi giro a guardarti: sei avvolta nel lenzuolo che solo i piedi spuntano fuori.
– aspetti di trasformarti in una farfalla? –
alzi la mano destra con il dito medio ben in evidenza.
– uhm stamattina siamo davvero oppositivi –
il mare è calmo e già i primi turisti si avviano alle spiagge.
– è un vero peccato però stare a casa con una così bella giornata –
mi giro giusto per vedere la tua mano che mi indica la porta.
– oggi davvero non ci siamo… –
ti tiri su, un poco arruffata.
– sai che stai rischiando di brutto? –
– mi piace il rischio… –
ti levi di dosso il lenzuolo e ti alzi, ti sistemi la mia maglietta preferita, che è diventata il tuo pigiama preferito, e ti avvicini con piglio duro.
– ti perdono solo perché al mattino hai la voce sexy… – dici andando verso la cucina.
– solo al mattino? –
– sì – rispondi arrabbiata.
ti seguo in cucina, prepari il caffè con la moka e poi ti siedi sullo sgabello davanti ai fornelli.
– grazie –
– e chi ha detto che sia anche per te? –
– bè non c’è nessuno oltre noi due –
– ah – ti guardi le unghie – di troppe cose per scontato –
sospiro.
– guarda che quella che dovrebbe sospirare sarei io –
– ok –
mi siedo accanto a te.
mi guardi seria.
ti sorrido.
fai finta di niente e ti giri dall’altra parte.
– eddai… – ti tocco una spalla con un dito – non essere arrabbiata, è una bellissima giornata e mi pareva carino andare al mare –
– potevi svegliarmi con un poco di grazia in più, ecco –
– ok… scusami –
– uhm, già meglio –
– però non sarebbe stato divertente –
ti giri e mi fulmini con uno sguardo.
– guarda che te meno… –
alzo le braccia in segno di resa, poi indico la moka.
– ecco, ora ci beviamo il caffè e poi, forse, mi preparo per andare al mare –
– oh brava! –
prendo le tazzine e tu la moka.
le riempi e mi guardi sorridendo.
– sai che te la farò pagare, vero? –
– lo so, ma mi piace la tua espressione imbronciata ai mattino –
mi dai un pugno sulla spalla destra e poi beviamo i caffè.
mentre vai in bagno io lavo tazze e caffetteria nel lavandino di marmo.
dopo qualche minuto ti affacci alla porta della cucina.
pronta.
– allora, andiamo al mare? –
sorrido e anche tu lo fai e il sole riempie la stanza.

di abitudini e silenzi.

24 sabato Giu 2017

Posted by emanuele in amici, estate, me

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abbracci, abitudini, amicizia, baci, cuore, de gregori, dormire, mondo, notti, rivelarsi, romanzo, silenzi, sonno, video, vita

ho difficoltà a scrivere questo post. dopo un mese di silenzio, anzi ormai sono quasi due, ho pensato fosse il caso di tornare su queste pagine.

cosa ho fatto in questo periodo?
mi sono arrabbiato, mi sono divertito, sono stato abbracciato e ho abbracciato, ho pianto, ho confortato meglio che potevo e ho imparato a conoscere sul serio una persona vicina a me.

insomma credo di aver vissuto a pieno questi giorni.
nel frattempo facevo le ore piccole scrivendo un racconto breve che si è trasformato in un “romanzo”. tra virgolette perchè non sono uno scrittore, ma mai mi ero trovato a scrivere di notte così bene e così velocemente che dopo un mese le pagine sono aumentate e sono tante.

ora quel racconto breve l’ho messo su carta per donarlo a una ragazzina, quella che mi ha ispirato tutte quelle pagine notturne.
non credo vedrà mai la luce in termini editoriali, ma un po’ ci tenevo a crogiolarmi davanti a voi del fatto di essere riuscito a scrivere così tanto… ma passiamo ad altro.

sono successe cose brutte e altre meno brutte.
dicono sia la vita, bè ogni tanto la vita mi pare sia un po’ uno schifo.
no, sul serio, è davvero uno schifo.

ma poi ci sono i momenti belli, le recite dell’ultimo anno della scuola materna, i denti che cadono, i messaggi a notte fonda e le chiamate dopo mezzanotte.
ecco, se ci sono quelle cose, si sta bene.

e qui si arriva al punto, al titolo.
di abitudini e di silenzi.

ne scrivevamo ieri sera: delle abitudine, di quelle belle, che ti fanno stare  bene. che non sono cattive, ma che comunque sono abitudini. che poi scritto così sembrano cose brutte le abitudini, uno posto dove uno ci si adagia, ci si lascia andare a non fare nulla.
ma le abitudini possono essere anche posti splendidi dove invece ci si trova tra amici veri, sinceri e unici.

ma quel posto è solo un luogo immaginario: sta racchiuso in uno schermo di un telefono, nelle righe scritte sul pc e poi stampate, sta nell’immaginazione che alle volte corre tra cielo e mare.
sta nelle orme lasciate sulla spiaggia alla sera, dopo che tutti sono andati a dormire, sta nei “ciao” e negli “a presto“.
sta nei pensieri che viaggiano nell’etere, sta nei sorrisi dei bambini, dei loro abbracci spontanei, sta nelle foto sfocate e in quelle venute a fuoco.
sta nel rumore della tastiera o nella puntina che si appoggia sul vinile, mentre ascolto i R.E.M. nella notte che scorre.
sta nel guardare il cellulare e vedere che sono già le 2 del mattino e di dormire no, non ne hai proprio voglia e vorresti tornare al pc e scrivere, ma il giorno dopo devi alzarti presto per andare al lavoro.

quel posto sta nel cuore di chi sa cercarlo, alle volte non è facile, ci sono un sacco di cose che lo nascondono.

in questi giorni le persone si sono rivelate. ecco la parola del mese di giugno è questa: riverlarsi.

si scoprono persone con un cuore grande anche se sono piccoline fuori, con quello sguardo sul mondo che ti fa dire tra te e te: quando ho perso quel meravigliarmi delle cose del mondo?

che poi, sai, non l’ho perso mai. si era solo smarrito, nascosto in quelle pieghe dell’anima che preferiscono starsene al sicuro, lontano dalle brutture del mondo.
ma il mondo è anche quello e allora ben venga che ci si possa meravigliare delle piccole cose che lo rendono migliore.

il bacino di una bimba, gli occhi trasparenti di una ragazzina, i sorrisi delle amiche e le pacche sulla schiena dei veri amici.
quelle serate a bere una birra e cazzeggiare.
e ancora un sacco di cose che voglio riscoprire. ci ho messo sei mesi a venir fuori da un periodo di merda, si può solo che risalire, un passo alla volta; aprirsi al mondo e far vedere quello che c’è dentro di me.

le abitudine sono belle, fanculo a chi dice che non lo sono. se ci sarà da stringere i denti perchè domani saranno meno di oggi va bene.

ce la posso, ce la possiamo fare.
ci si mancherà a vicenda, ma io ci sono; farò fatica, lo ammetto, lo so, già oggi è stato così. ma la vita è anche questa, no? fa un po’ di casino, cambia le carte in tavola e alle volte cambia pure tavola in corsa. ma noi siamo più bravi e più forti.

per certe persone non me ne vado mai via, anche per te che sei così lontana. io non ti dimentico. ti porto nel cuore giorno dopo giorno, è il posto migliore che posso darti per farti vedere che ci sta dentro di me.
ed è gratis. non so se mi leggi ancora, io spero di si.

per gli altri che mi leggono e mi conoscono anche dal vero sappiano che li penso sempre, tutti i giorni, prima e dopo i pasti e appena prima di chiudere gli occhi prima di lasciarmi andare al sonno.

insomma, ci sono. sto sempre qua.

vi lascio con un video di una canzone riscoperta da poco.
buonanotte.

“Avevano parlano a lungo
di passione e spiritualità
e avevano toccato il fondo
della loro provvisorietà”

Lui disse:
“Non adesso
ne abbiamo già discusso troppo spesso
aiutami piuttosto a far presto
il mio volo partirà tra poco più di due ore”

“Due buoni compagni di viaggio
non dovrebbero lasciarsi mai
potranno scegliere imbarchi diversi
saranno sempre due marinai”

settembre.

21 mercoledì Set 2016

Posted by emanuele in cibo, estate, flashback, immagini, me, musica, parole, pensieri, te, video, vino

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21 settembre, autunno, canzoni, cibo, estate, luglio, me, playlist, red hot chili peppers, ristorante, settembre, sogno, spuma, te, video

la canzone di qui sotto non c’entra un fico secco con settembre.
davvero.

la canzone a dirla tutta mi ricorda l’estate, non so perchè appena sentita ho pensato a te, vi/ti chiederai: ma che c’entra con lei/me?

sono le 23:59 del 21 settembre. primo giorno di autunno e a me viene in mente l’estate, che poi per me deve ancora arrivare che devo ancora fare le ferie (ma questa è un’altra storia).

comunque, tornando a noi, sono seduto alla mia scrivania, la mia gatta sta dormendo sui miei maglioni in un anticipo di inverno, ma va tutto bene. in casa ho 23,5° e si sta bene.
e anche questo non c’entra nulla.
fatto sta che questa canzone da quando l’ho sentita me la sono figurata come colonna sonora.
colonna sonora di un pranzo.

chiudete gli occhi e leggete… ah, no. ok prima leggete e poi chiudete gli occhi, fatelo velocemente, leggete e chiudete gli occhi.
o sennò trovate qualcuno che legga per voi: mi raccomando che abbia una voce suadente, sexy, insomma che sia davvero interessante sentirlo parlare, in modo tale da dimenticare quello che sta leggendo ma vi faccia volare solo con il suono delle sue parole.
se la trovate datele il mio numero di telefono… scherzi a parte, vado avanti.

quindi ce ne stiamo seduti al tavolo di un ristorantino, una roba carina, non impegnativa, con il pergolato di glicine che fa passare i raggi del sole di luglio.
in effetti non c’è una musica di fondo, perchè di fondo ci sono i rumori dei piatti dei vicini, pochi a dir la verità, ci sono i rumori delle posate, dei bicchieri che tintinnano.
se dicessi il battito del mio cuore sarei un inguaribile romantico, ma non lo sento, c’è il rumore del vento tra il glicine che non me lo fa sentire.
vorrei essere un regista, vorrei poter far vedere cosa vedono i miei occhi, ma non ne sono capace e quindi mi sto facendo in quattro (4) per farvelo capire.
il sole è quasi al suo culmine, i raggi inclinati colpiscono il tuo viso, i tuoi capelli chiari, le tue labbra mentre bevi il vino rosso che abbiamo ordinato.
vino rosso sfuso, quello della casa, che è buono e va giù bene, che poi torna su in forma di pensieri e parole che non mi escono dalla bocca è normale

sorridi. e mi fa piacere vedere che lo fai senza sforzo e senza che io faccia battute stupide, sono sempre impacciato quando si sta a quattrocchi. vis a vis.
ma non c’è nulla di cui devo parlare, i momenti impacciati sono ancora da venire, mi godo il pranzo senza pensare al futuro. siamo a luglio, il cielo è azzurro, il sole splende e tu illumini la scena.
seguo i movimenti delle tue mani mentre mangi, ti pulisci le labbra con il tovagliolo di stoffa (ah, quanto mi piace il tovagliolo di stoffa invece che quella cosa impersonale di carta) e poi bevi il tuo vino.
io mangio, ti guardo, sorrido, mi pulisco le labbra e bevo con te, o forse un po’ dopo, che sennò mi perdo qualcosa.
c’è un buon profumo nell’aria, si sta così bene che non viene nemmeno voglia di alzarci, ci rilassiamo un attimo e ridiamo; non ricordo nemmeno di che cosa ridiamo, ma non è quello che mi deve rimanere dentro.
quello che mi deve rimanere dentro sono le immagini che vivo quel giorno.
è talmente bello, si sta talmente bene, che mi pare di stare da un’altra parte; posso quasi sentire il mare poco distante, le onde calme si infrangono sugli scogli: la spuma bianca si ritrae controvoglia dalla sabbia e dalle rocce nere, che paiono ossidiana.
la gente intorno a noi sparisce e siamo solo noi, aspettiamo ancora un attimo e poi ci alziamo.
– il caffè andiamo a prenderlo da un’altra parte – dici tu.
– certo

usciamo, vicini, quasi a sfiorarci. il vento è caldo e sembra di stare in un borgo di mare, da un’altra parte, su un’isola, lontani da tutto.
io con la mia maglietta preferita, tu con un vestitino leggero, estivo, che farebbe arrivare l’estate anche a marzo.
ci manca solo che prendi i sandali in un mano e cammini sulla sabbia davanti a me, lasciando impronte leggere che la spuma cancella poco dopo.
e ti giri, mi sorridi girandoti mentre il vento ti scompiglia i capelli chiari.

sembra un film.

e quando arrivo a casa, quando la giornata è finita sento questa canzone.
il video proprio qua sotto.
e allora al primo giro di basso arrivi tu, il tavolino, il pergolato, il glicine, il sole che fa filtrare i suoi raggi.
il vino e il buon cibo.
tutto quanto. anche adesso che è settembre e i tuoi capelli sono cresciuti un botto.

chissà se esiste veramente quel ristorante in riva al mare?
io intanto provo a mettermi a letto.
sono le 00:44.

 

 

Playlist della serata:

  • Gorillaz – Clint Eastwood

  • Eminem – Without Me

  • Sixpence None The Richer – Kiss Me

  • Tre allegri ragazzi morti – La mia vita senza te

  • Damien Rice – Delicate

  • Jarabe De Palo – “Completo incompleto”

  • The Bangles – Eternal Flame

  • Radiohead – Daydreaming

  • Nirvana – Smells Like Teen Spirit

  • Dido – Thank You

buonanotte e buon ascolto.

pietroline colorate.

30 martedì Ago 2016

Posted by emanuele in cibo, estate, me, parole, pensieri, profumi, te

≈ 2 commenti

Tag

cibo, estate, me, mi piaci, pietroline, rosso, te, tu, vino

– mi piaci –
– lo so –
– dico sul serio –
– lo so –
appoggio la forchetta al piatto.
mi pulisco le labbra dal sugo e bevo un sorso di vino.
e tu sorridi, mi guardi di sottecchio e sorridi.
mi piace.
e lo sai.
– e come fai a saperlo? – ti chiedo guardandoti negli occhi.
sostieni il mio sguardo e ti pulisci le labbra, bevi un sorso di vino rosso e sorridi ancora.
– non sono mica scema –
– mai pensato e mai detto –
– lo so – sorridi ancora.
appoggiai la schiena alla sedia e mi passai le mani tra i capelli incrociando le dita dietro la nuca.
sospirai.
– quindi ti piaccio – non era una domanda.
– già –
so che non si il tipo da giochetti, non ami i sotterfugi o gli inganni.
sei una ragazza sensibile e vera.
bevi un sorso di vino.
deglutisco.
sono in difficoltà.
lo sono sempre in queste situazioni.
le parole mi si inceppano, escono a pezzi, alle volte senza senso.
eppure in testa ho tutto il discorso che Leonardo Di Caprio levati, proprio.
eppure non esce nulla.
– tu? –
ma che cazzo di domanda è? tu?
– io? – fai tu appoggiandoti una mano sul petto.
deglutisco.
– diciamo che non mi piaccio molto, vorrei cambiare un po’ di cose –
sorrido.
– non lo so – aggiungi poi in tono serio.
– ah –
– non riesco a darti una risposta –
– capisco –
non voglio farmi abbattere, non voglio che questo renda una bellissima giornata con te uno schifo.
perché non lo è.
passare del tempo con te mi piace, sennò non passerei al lavoro, non troverei scuse per un caffè o un aperitivo.
– mi spiace – aggiungi tu poco dopo.
– figurati – ti sorrido.
mi sorridi anche tu.
mi piace quando sorridi.

alle volte ripenso a quel pranzo. all’imbarazzo che provai.
ripenso alle volte precedenti, a come mi pareva tu aspettassi qualcosa da me.
una parola, un discorso.
un passo avanti.
e io sempre a nascondermi, a celare (male) quello che avevo dentro.
che cosa buffa. ripensarci adesso.
allora non era così.
c’erano giorni che non sapevo cosa fare, che il tempo non passava o passava troppo velocemente.
mi venne in aiuto una frase che trovai su internet:

«Stare con te o stare senza di te è l’unico modo che ho per misurare il tempo».

– Jorge Luis Borges

ecco cosa provavo, ecco come misuravo il tempo.
era un po’ di tempo che non mi sentivo così.
la cosa mi rendeva, nello stesso tempo, euforico e triste.
vedendoti avrei voluto dirti: “mi piaci”. come se non l’avessi mai detto prima di allora.

e poi quel pranzo segnò una svolta.
mi sentivo nudo e vulnerabile.
so che lo sapevi, che era evidente.
ma un conto è dirlo dentro di me, un conto è dirlo fuori.
un conto è mettere le carte in tavola, tra i bicchieri di vino rosso e i piatti di pasta.
con la brezza leggera che muove la tovaglia e i tuoi capelli, il tuo profumo delicato che mi arriva leggero come un bouquet di fiori primaverili.

mi piaci quando sorridi, anche se adesso un po’ eviti il mio sguardo e io sento che abbiamo, anzi ho, messo una pietra a segnare il sentiero.
ancora non sapevo cosa avrebbe significato.
per una volta mi sentivo davvero bene.
come era tempo che non mi succedeva.

finimmo di pranzare in silenzio, ma era leggero e non pesava sulle spalle.
l’ultimo sorso di vino e poi ci alzammo.

– caffè? –
– uhmm –
ogni tuo sorriso, ogni tuo “uhmm”, mettevano una pietrolina dentro di me, proprio nel mezzo.
mi accorsi, guardandoti, che ce n’era già un bel mucchietto.
– gelato? –
– perfetto –

uscimmo fuori tu, io e il mio mucchietto di pietroline colorate che mi facevano sentire leggero.
erano come i piccoli vetri che si trovano al mare, levigati e trasparenti.
la cosa bella era che era impossibile farsi male.

– che gusto prendi? – ti chiesi.
– stracciatella –

per un attimo ci vidi da fuori, camminare sotto il sole, vicini.
e colorati.

che fai? 

22 lunedì Ago 2016

Posted by emanuele in estate, flashback, immagini, me, parole, pensieri, racconti, te

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Tag

baci, bugie, canzone, cd, coldplay, estate, mani, mare, ossa, panchina, risate, sole, stelle, yellow

– che fai? – me lo chiedi mentre esci dall’acqua e ti avvicini a me.
– ascolto una canzone –
– quale? –

come mi succede spesso ultimamente vengo sommerso dai ricordi, e faccio un balzo indietro nel tempo.
vado indietro a qualche anno prima, ultimamente mi accade spesso. forse che il passato è meglio del presente?
non credo.

sono in anticipo, come al solito, tu lo sai e scendi sempre qualche minuto prima.
avevo voglia di camminare quella sera e ne approfittai per fare due passi in centro, avevo le cuffie e stavo ascoltando i Coldplay, l’album era Parachutes.
era da qualche mese che non facevo che ascoltarlo, c’era un qualcosa nelle parole, nella musica, che si adattava perfettamente alla mia situazione malinconica.
eppure non sarei dovuto esserlo, non adesso. no.
da quando ti avevo conosciuta c’era questa canzone che mi girava in testa, non potevo fare a meno di ascoltarla decine di volte al giorno.
la sera, a letto, la mettevo in loop finché non mi addormentavo o non si scaricavano le batterie.
la canzone è la stessa che ascolto adesso quando voglio pensare a te più intensamente…
Yellow.

quella sera camminavo con le cuffie ben calcate sulle orecchie, il volume alto e Yellow in loop.
passo due volte davanti al tuo portone, alla terza mi siedo su una panchina ad ascoltare la canzone e la canticchio a bassa voce.
non mi accorgo che tu nel frattempo sto uscita dal portone e stai proprio dietro di me.
mi sento togliere le cuffie, mi sto per girare arrabbiato quando sento il tuo profumo e tiro la testa all’indietro.
incrocio i tuoi occhi e ti guardo mentre mi sorridi e ti metti le cuffie.
rimani un po’ in ascolto e poi mi domandi ad alta voce che canzone è.
io rido.
– cosa c’è da ridere? – urli ancora tu.
mi alzo e mi siedo sullo schienale della panchina, alzo le cuffie.
– rido perché stavi urlando –
– ops – fai tu arrossendo un poco.
– comunque la canzone di intitola Yellow ed è dei Coldplay –
ti rimetti le cuffie tenendo le tue mani sulle mie.
mi piace il tuo tocco delicato.
– mi piace – dici tu, a bassa voce stavolta.
– anche a me, molto –
stai in silenzio tenendo le mie mani ferme sulle cuffie.
poi sorridi.
– ricomincia – dici poi togliendole.
le mani restano unite, sulle cuffie che diffondono il suono nella piazza.
– mi piace davvero molto – mettendo il cd in pausa.
– cosa dice? – mi chiedi sedendomi accanto a me, rimangono le nostre dita intrecciate, la tua mano sinistra con la mia destra.
ferme.
– parla delle stelle, delle stelle che brillano per te –
– per me? –
– si –
– oh – abbassi lo sguardo verso i tuoi piedi nei sandali.
– c’è un tale che ha scritto questa canzone per te –
– un tale? – fai tu guardandomi.
– si –
– non sei tu? –
– io? naaa, non sono capace a scrivere canzoni –
– ah –
– però ho detto a quel tale di scrivere la canzone per te – ti di un colpo leggero con la spalla destra sulla tua.
mi guardi e sorridi.
– ecco, così va meglio, hai recuperato bene –
– non mi credi? –
– uhmm – fai lo sguardo pensieroso verso il cielo azzurro, senza nuvole.
sembra settembre.
invece è ancora agosto.
– parla della tua pelle e delle tue ossa –
– delle mie ossa? – ti guardi le braccia abbronzate e le mani.
– eh cosa dice? –
– lui dice che si sono trasformate in qualcosa di meraviglioso –
– lo dice lui? – mi guardi con aria quasi accusatoria.
– lui lo ha scritto, ma gliel’ho suggerito io –
– uhmm – di nuovo non mi credi – mi sa che mi stai raccontando un sacco di bugie –
– io? trovo questa tua mancanza di fede… –
– insopportabile –
ridi.
ah quanto mi piace quando ridi, tutto diventa giallo, come il sole.
rido.
– quindi la mia pelle e le mie ossa sono diventate meravigliose – dici alzandoti in piedi, davanti a me.
illuminata dal sole sei ancora più bella, ti fai ombra con la mano per guardarmi.
– si, vero –
– e poi? cos’altro dice la canzone? –
– dice che ho nuotato e superato linee per te –
– e basta? –
– che le stelle brillano per te e che tutto è diventato giallo te l’ho già detto? –
– si –
– allora è tutto –
– uhmm –
mi prendi le mani.
– dove mi porti? –
– che ne dici di un bel tuffo al mare? –
– nuoterai per me? –
– certo! –
– allora andiamo –

esci dall’acqua.
ti ho mai detto quanto io impazzisca per i tuoi fianchi specie quando esci dal mare e mi vieni incontro?
si, forse almeno un centinaio di volte.
si.
– che fai? – me lo chiedi mentre ti avvicini a me.
– ascolto una canzone –
– quale? –
– e indovini ti do un bacio –
– e se non indovino? – si in piedi davanti a me.
– ne dai uno a me –
– ah –
mi sono tolto le cuffie e tu ti chini su di me tenendo le mani sulle ginocchia.
le goccioline d’acqua corrono verso il basso sul tuo corpo abbronzato.
– dici che indovino? –
– boh –
– Yellow? –
– hai vinto! –
– ma non ti annoia? risentire per così tante volte la stessa canzone? –
– no, mica mi annoio di te –
sorridi e ti inginocchi sull’asciugamano.
– oh –
– vuoi ritirare il premio? –
– perché no –
sai di mare e miele.
e tutto diventa giallo e so che le stelle brillano per te.

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