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cose mentali

~ del perché i pensieri si muovono dentro di me

cose mentali

Archivi della categoria: estate

di abitudini e silenzi.

24 sabato Giu 2017

Posted by emanuele in amici, estate, me

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Tag

abbracci, abitudini, amicizia, baci, cuore, de gregori, dormire, mondo, notti, rivelarsi, romanzo, silenzi, sonno, video, vita

ho difficoltà a scrivere questo post. dopo un mese di silenzio, anzi ormai sono quasi due, ho pensato fosse il caso di tornare su queste pagine.

cosa ho fatto in questo periodo?
mi sono arrabbiato, mi sono divertito, sono stato abbracciato e ho abbracciato, ho pianto, ho confortato meglio che potevo e ho imparato a conoscere sul serio una persona vicina a me.

insomma credo di aver vissuto a pieno questi giorni.
nel frattempo facevo le ore piccole scrivendo un racconto breve che si è trasformato in un “romanzo”. tra virgolette perchè non sono uno scrittore, ma mai mi ero trovato a scrivere di notte così bene e così velocemente che dopo un mese le pagine sono aumentate e sono tante.

ora quel racconto breve l’ho messo su carta per donarlo a una ragazzina, quella che mi ha ispirato tutte quelle pagine notturne.
non credo vedrà mai la luce in termini editoriali, ma un po’ ci tenevo a crogiolarmi davanti a voi del fatto di essere riuscito a scrivere così tanto… ma passiamo ad altro.

sono successe cose brutte e altre meno brutte.
dicono sia la vita, bè ogni tanto la vita mi pare sia un po’ uno schifo.
no, sul serio, è davvero uno schifo.

ma poi ci sono i momenti belli, le recite dell’ultimo anno della scuola materna, i denti che cadono, i messaggi a notte fonda e le chiamate dopo mezzanotte.
ecco, se ci sono quelle cose, si sta bene.

e qui si arriva al punto, al titolo.
di abitudini e di silenzi.

ne scrivevamo ieri sera: delle abitudine, di quelle belle, che ti fanno stare  bene. che non sono cattive, ma che comunque sono abitudini. che poi scritto così sembrano cose brutte le abitudini, uno posto dove uno ci si adagia, ci si lascia andare a non fare nulla.
ma le abitudini possono essere anche posti splendidi dove invece ci si trova tra amici veri, sinceri e unici.

ma quel posto è solo un luogo immaginario: sta racchiuso in uno schermo di un telefono, nelle righe scritte sul pc e poi stampate, sta nell’immaginazione che alle volte corre tra cielo e mare.
sta nelle orme lasciate sulla spiaggia alla sera, dopo che tutti sono andati a dormire, sta nei “ciao” e negli “a presto“.
sta nei pensieri che viaggiano nell’etere, sta nei sorrisi dei bambini, dei loro abbracci spontanei, sta nelle foto sfocate e in quelle venute a fuoco.
sta nel rumore della tastiera o nella puntina che si appoggia sul vinile, mentre ascolto i R.E.M. nella notte che scorre.
sta nel guardare il cellulare e vedere che sono già le 2 del mattino e di dormire no, non ne hai proprio voglia e vorresti tornare al pc e scrivere, ma il giorno dopo devi alzarti presto per andare al lavoro.

quel posto sta nel cuore di chi sa cercarlo, alle volte non è facile, ci sono un sacco di cose che lo nascondono.

in questi giorni le persone si sono rivelate. ecco la parola del mese di giugno è questa: riverlarsi.

si scoprono persone con un cuore grande anche se sono piccoline fuori, con quello sguardo sul mondo che ti fa dire tra te e te: quando ho perso quel meravigliarmi delle cose del mondo?

che poi, sai, non l’ho perso mai. si era solo smarrito, nascosto in quelle pieghe dell’anima che preferiscono starsene al sicuro, lontano dalle brutture del mondo.
ma il mondo è anche quello e allora ben venga che ci si possa meravigliare delle piccole cose che lo rendono migliore.

il bacino di una bimba, gli occhi trasparenti di una ragazzina, i sorrisi delle amiche e le pacche sulla schiena dei veri amici.
quelle serate a bere una birra e cazzeggiare.
e ancora un sacco di cose che voglio riscoprire. ci ho messo sei mesi a venir fuori da un periodo di merda, si può solo che risalire, un passo alla volta; aprirsi al mondo e far vedere quello che c’è dentro di me.

le abitudine sono belle, fanculo a chi dice che non lo sono. se ci sarà da stringere i denti perchè domani saranno meno di oggi va bene.

ce la posso, ce la possiamo fare.
ci si mancherà a vicenda, ma io ci sono; farò fatica, lo ammetto, lo so, già oggi è stato così. ma la vita è anche questa, no? fa un po’ di casino, cambia le carte in tavola e alle volte cambia pure tavola in corsa. ma noi siamo più bravi e più forti.

per certe persone non me ne vado mai via, anche per te che sei così lontana. io non ti dimentico. ti porto nel cuore giorno dopo giorno, è il posto migliore che posso darti per farti vedere che ci sta dentro di me.
ed è gratis. non so se mi leggi ancora, io spero di si.

per gli altri che mi leggono e mi conoscono anche dal vero sappiano che li penso sempre, tutti i giorni, prima e dopo i pasti e appena prima di chiudere gli occhi prima di lasciarmi andare al sonno.

insomma, ci sono. sto sempre qua.

vi lascio con un video di una canzone riscoperta da poco.
buonanotte.

“Avevano parlano a lungo
di passione e spiritualità
e avevano toccato il fondo
della loro provvisorietà”

Lui disse:
“Non adesso
ne abbiamo già discusso troppo spesso
aiutami piuttosto a far presto
il mio volo partirà tra poco più di due ore”

“Due buoni compagni di viaggio
non dovrebbero lasciarsi mai
potranno scegliere imbarchi diversi
saranno sempre due marinai”

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settembre.

21 mercoledì Set 2016

Posted by emanuele in cibo, estate, flashback, immagini, me, musica, parole, pensieri, te, video, vino

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21 settembre, autunno, canzoni, cibo, estate, luglio, me, playlist, red hot chili peppers, ristorante, settembre, sogno, spuma, te, video

la canzone di qui sotto non c’entra un fico secco con settembre.
davvero.

la canzone a dirla tutta mi ricorda l’estate, non so perchè appena sentita ho pensato a te, vi/ti chiederai: ma che c’entra con lei/me?

sono le 23:59 del 21 settembre. primo giorno di autunno e a me viene in mente l’estate, che poi per me deve ancora arrivare che devo ancora fare le ferie (ma questa è un’altra storia).

comunque, tornando a noi, sono seduto alla mia scrivania, la mia gatta sta dormendo sui miei maglioni in un anticipo di inverno, ma va tutto bene. in casa ho 23,5° e si sta bene.
e anche questo non c’entra nulla.
fatto sta che questa canzone da quando l’ho sentita me la sono figurata come colonna sonora.
colonna sonora di un pranzo.

chiudete gli occhi e leggete… ah, no. ok prima leggete e poi chiudete gli occhi, fatelo velocemente, leggete e chiudete gli occhi.
o sennò trovate qualcuno che legga per voi: mi raccomando che abbia una voce suadente, sexy, insomma che sia davvero interessante sentirlo parlare, in modo tale da dimenticare quello che sta leggendo ma vi faccia volare solo con il suono delle sue parole.
se la trovate datele il mio numero di telefono… scherzi a parte, vado avanti.

quindi ce ne stiamo seduti al tavolo di un ristorantino, una roba carina, non impegnativa, con il pergolato di glicine che fa passare i raggi del sole di luglio.
in effetti non c’è una musica di fondo, perchè di fondo ci sono i rumori dei piatti dei vicini, pochi a dir la verità, ci sono i rumori delle posate, dei bicchieri che tintinnano.
se dicessi il battito del mio cuore sarei un inguaribile romantico, ma non lo sento, c’è il rumore del vento tra il glicine che non me lo fa sentire.
vorrei essere un regista, vorrei poter far vedere cosa vedono i miei occhi, ma non ne sono capace e quindi mi sto facendo in quattro (4) per farvelo capire.
il sole è quasi al suo culmine, i raggi inclinati colpiscono il tuo viso, i tuoi capelli chiari, le tue labbra mentre bevi il vino rosso che abbiamo ordinato.
vino rosso sfuso, quello della casa, che è buono e va giù bene, che poi torna su in forma di pensieri e parole che non mi escono dalla bocca è normale

sorridi. e mi fa piacere vedere che lo fai senza sforzo e senza che io faccia battute stupide, sono sempre impacciato quando si sta a quattrocchi. vis a vis.
ma non c’è nulla di cui devo parlare, i momenti impacciati sono ancora da venire, mi godo il pranzo senza pensare al futuro. siamo a luglio, il cielo è azzurro, il sole splende e tu illumini la scena.
seguo i movimenti delle tue mani mentre mangi, ti pulisci le labbra con il tovagliolo di stoffa (ah, quanto mi piace il tovagliolo di stoffa invece che quella cosa impersonale di carta) e poi bevi il tuo vino.
io mangio, ti guardo, sorrido, mi pulisco le labbra e bevo con te, o forse un po’ dopo, che sennò mi perdo qualcosa.
c’è un buon profumo nell’aria, si sta così bene che non viene nemmeno voglia di alzarci, ci rilassiamo un attimo e ridiamo; non ricordo nemmeno di che cosa ridiamo, ma non è quello che mi deve rimanere dentro.
quello che mi deve rimanere dentro sono le immagini che vivo quel giorno.
è talmente bello, si sta talmente bene, che mi pare di stare da un’altra parte; posso quasi sentire il mare poco distante, le onde calme si infrangono sugli scogli: la spuma bianca si ritrae controvoglia dalla sabbia e dalle rocce nere, che paiono ossidiana.
la gente intorno a noi sparisce e siamo solo noi, aspettiamo ancora un attimo e poi ci alziamo.
– il caffè andiamo a prenderlo da un’altra parte – dici tu.
– certo

usciamo, vicini, quasi a sfiorarci. il vento è caldo e sembra di stare in un borgo di mare, da un’altra parte, su un’isola, lontani da tutto.
io con la mia maglietta preferita, tu con un vestitino leggero, estivo, che farebbe arrivare l’estate anche a marzo.
ci manca solo che prendi i sandali in un mano e cammini sulla sabbia davanti a me, lasciando impronte leggere che la spuma cancella poco dopo.
e ti giri, mi sorridi girandoti mentre il vento ti scompiglia i capelli chiari.

sembra un film.

e quando arrivo a casa, quando la giornata è finita sento questa canzone.
il video proprio qua sotto.
e allora al primo giro di basso arrivi tu, il tavolino, il pergolato, il glicine, il sole che fa filtrare i suoi raggi.
il vino e il buon cibo.
tutto quanto. anche adesso che è settembre e i tuoi capelli sono cresciuti un botto.

chissà se esiste veramente quel ristorante in riva al mare?
io intanto provo a mettermi a letto.
sono le 00:44.

 

 

Playlist della serata:

  • Gorillaz – Clint Eastwood

  • Eminem – Without Me

  • Sixpence None The Richer – Kiss Me

  • Tre allegri ragazzi morti – La mia vita senza te

  • Damien Rice – Delicate

  • Jarabe De Palo – “Completo incompleto”

  • The Bangles – Eternal Flame

  • Radiohead – Daydreaming

  • Nirvana – Smells Like Teen Spirit

  • Dido – Thank You

buonanotte e buon ascolto.

pietroline colorate.

30 martedì Ago 2016

Posted by emanuele in cibo, estate, me, parole, pensieri, profumi, te

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cibo, estate, me, mi piaci, pietroline, rosso, te, tu, vino

– mi piaci –
– lo so –
– dico sul serio –
– lo so –
appoggio la forchetta al piatto.
mi pulisco le labbra dal sugo e bevo un sorso di vino.
e tu sorridi, mi guardi di sottecchio e sorridi.
mi piace.
e lo sai.
– e come fai a saperlo? – ti chiedo guardandoti negli occhi.
sostieni il mio sguardo e ti pulisci le labbra, bevi un sorso di vino rosso e sorridi ancora.
– non sono mica scema –
– mai pensato e mai detto –
– lo so – sorridi ancora.
appoggiai la schiena alla sedia e mi passai le mani tra i capelli incrociando le dita dietro la nuca.
sospirai.
– quindi ti piaccio – non era una domanda.
– già –
so che non si il tipo da giochetti, non ami i sotterfugi o gli inganni.
sei una ragazza sensibile e vera.
bevi un sorso di vino.
deglutisco.
sono in difficoltà.
lo sono sempre in queste situazioni.
le parole mi si inceppano, escono a pezzi, alle volte senza senso.
eppure in testa ho tutto il discorso che Leonardo Di Caprio levati, proprio.
eppure non esce nulla.
– tu? –
ma che cazzo di domanda è? tu?
– io? – fai tu appoggiandoti una mano sul petto.
deglutisco.
– diciamo che non mi piaccio molto, vorrei cambiare un po’ di cose –
sorrido.
– non lo so – aggiungi poi in tono serio.
– ah –
– non riesco a darti una risposta –
– capisco –
non voglio farmi abbattere, non voglio che questo renda una bellissima giornata con te uno schifo.
perché non lo è.
passare del tempo con te mi piace, sennò non passerei al lavoro, non troverei scuse per un caffè o un aperitivo.
– mi spiace – aggiungi tu poco dopo.
– figurati – ti sorrido.
mi sorridi anche tu.
mi piace quando sorridi.

alle volte ripenso a quel pranzo. all’imbarazzo che provai.
ripenso alle volte precedenti, a come mi pareva tu aspettassi qualcosa da me.
una parola, un discorso.
un passo avanti.
e io sempre a nascondermi, a celare (male) quello che avevo dentro.
che cosa buffa. ripensarci adesso.
allora non era così.
c’erano giorni che non sapevo cosa fare, che il tempo non passava o passava troppo velocemente.
mi venne in aiuto una frase che trovai su internet:

«Stare con te o stare senza di te è l’unico modo che ho per misurare il tempo».

– Jorge Luis Borges

ecco cosa provavo, ecco come misuravo il tempo.
era un po’ di tempo che non mi sentivo così.
la cosa mi rendeva, nello stesso tempo, euforico e triste.
vedendoti avrei voluto dirti: “mi piaci”. come se non l’avessi mai detto prima di allora.

e poi quel pranzo segnò una svolta.
mi sentivo nudo e vulnerabile.
so che lo sapevi, che era evidente.
ma un conto è dirlo dentro di me, un conto è dirlo fuori.
un conto è mettere le carte in tavola, tra i bicchieri di vino rosso e i piatti di pasta.
con la brezza leggera che muove la tovaglia e i tuoi capelli, il tuo profumo delicato che mi arriva leggero come un bouquet di fiori primaverili.

mi piaci quando sorridi, anche se adesso un po’ eviti il mio sguardo e io sento che abbiamo, anzi ho, messo una pietra a segnare il sentiero.
ancora non sapevo cosa avrebbe significato.
per una volta mi sentivo davvero bene.
come era tempo che non mi succedeva.

finimmo di pranzare in silenzio, ma era leggero e non pesava sulle spalle.
l’ultimo sorso di vino e poi ci alzammo.

– caffè? –
– uhmm –
ogni tuo sorriso, ogni tuo “uhmm”, mettevano una pietrolina dentro di me, proprio nel mezzo.
mi accorsi, guardandoti, che ce n’era già un bel mucchietto.
– gelato? –
– perfetto –

uscimmo fuori tu, io e il mio mucchietto di pietroline colorate che mi facevano sentire leggero.
erano come i piccoli vetri che si trovano al mare, levigati e trasparenti.
la cosa bella era che era impossibile farsi male.

– che gusto prendi? – ti chiesi.
– stracciatella –

per un attimo ci vidi da fuori, camminare sotto il sole, vicini.
e colorati.

che fai? 

22 lunedì Ago 2016

Posted by emanuele in estate, flashback, immagini, me, parole, pensieri, racconti, te

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baci, bugie, canzone, cd, coldplay, estate, mani, mare, ossa, panchina, risate, sole, stelle, yellow

– che fai? – me lo chiedi mentre esci dall’acqua e ti avvicini a me.
– ascolto una canzone –
– quale? –

come mi succede spesso ultimamente vengo sommerso dai ricordi, e faccio un balzo indietro nel tempo.
vado indietro a qualche anno prima, ultimamente mi accade spesso. forse che il passato è meglio del presente?
non credo.

sono in anticipo, come al solito, tu lo sai e scendi sempre qualche minuto prima.
avevo voglia di camminare quella sera e ne approfittai per fare due passi in centro, avevo le cuffie e stavo ascoltando i Coldplay, l’album era Parachutes.
era da qualche mese che non facevo che ascoltarlo, c’era un qualcosa nelle parole, nella musica, che si adattava perfettamente alla mia situazione malinconica.
eppure non sarei dovuto esserlo, non adesso. no.
da quando ti avevo conosciuta c’era questa canzone che mi girava in testa, non potevo fare a meno di ascoltarla decine di volte al giorno.
la sera, a letto, la mettevo in loop finché non mi addormentavo o non si scaricavano le batterie.
la canzone è la stessa che ascolto adesso quando voglio pensare a te più intensamente…
Yellow.

quella sera camminavo con le cuffie ben calcate sulle orecchie, il volume alto e Yellow in loop.
passo due volte davanti al tuo portone, alla terza mi siedo su una panchina ad ascoltare la canzone e la canticchio a bassa voce.
non mi accorgo che tu nel frattempo sto uscita dal portone e stai proprio dietro di me.
mi sento togliere le cuffie, mi sto per girare arrabbiato quando sento il tuo profumo e tiro la testa all’indietro.
incrocio i tuoi occhi e ti guardo mentre mi sorridi e ti metti le cuffie.
rimani un po’ in ascolto e poi mi domandi ad alta voce che canzone è.
io rido.
– cosa c’è da ridere? – urli ancora tu.
mi alzo e mi siedo sullo schienale della panchina, alzo le cuffie.
– rido perché stavi urlando –
– ops – fai tu arrossendo un poco.
– comunque la canzone di intitola Yellow ed è dei Coldplay –
ti rimetti le cuffie tenendo le tue mani sulle mie.
mi piace il tuo tocco delicato.
– mi piace – dici tu, a bassa voce stavolta.
– anche a me, molto –
stai in silenzio tenendo le mie mani ferme sulle cuffie.
poi sorridi.
– ricomincia – dici poi togliendole.
le mani restano unite, sulle cuffie che diffondono il suono nella piazza.
– mi piace davvero molto – mettendo il cd in pausa.
– cosa dice? – mi chiedi sedendomi accanto a me, rimangono le nostre dita intrecciate, la tua mano sinistra con la mia destra.
ferme.
– parla delle stelle, delle stelle che brillano per te –
– per me? –
– si –
– oh – abbassi lo sguardo verso i tuoi piedi nei sandali.
– c’è un tale che ha scritto questa canzone per te –
– un tale? – fai tu guardandomi.
– si –
– non sei tu? –
– io? naaa, non sono capace a scrivere canzoni –
– ah –
– però ho detto a quel tale di scrivere la canzone per te – ti di un colpo leggero con la spalla destra sulla tua.
mi guardi e sorridi.
– ecco, così va meglio, hai recuperato bene –
– non mi credi? –
– uhmm – fai lo sguardo pensieroso verso il cielo azzurro, senza nuvole.
sembra settembre.
invece è ancora agosto.
– parla della tua pelle e delle tue ossa –
– delle mie ossa? – ti guardi le braccia abbronzate e le mani.
– eh cosa dice? –
– lui dice che si sono trasformate in qualcosa di meraviglioso –
– lo dice lui? – mi guardi con aria quasi accusatoria.
– lui lo ha scritto, ma gliel’ho suggerito io –
– uhmm – di nuovo non mi credi – mi sa che mi stai raccontando un sacco di bugie –
– io? trovo questa tua mancanza di fede… –
– insopportabile –
ridi.
ah quanto mi piace quando ridi, tutto diventa giallo, come il sole.
rido.
– quindi la mia pelle e le mie ossa sono diventate meravigliose – dici alzandoti in piedi, davanti a me.
illuminata dal sole sei ancora più bella, ti fai ombra con la mano per guardarmi.
– si, vero –
– e poi? cos’altro dice la canzone? –
– dice che ho nuotato e superato linee per te –
– e basta? –
– che le stelle brillano per te e che tutto è diventato giallo te l’ho già detto? –
– si –
– allora è tutto –
– uhmm –
mi prendi le mani.
– dove mi porti? –
– che ne dici di un bel tuffo al mare? –
– nuoterai per me? –
– certo! –
– allora andiamo –

esci dall’acqua.
ti ho mai detto quanto io impazzisca per i tuoi fianchi specie quando esci dal mare e mi vieni incontro?
si, forse almeno un centinaio di volte.
si.
– che fai? – me lo chiedi mentre ti avvicini a me.
– ascolto una canzone –
– quale? –
– e indovini ti do un bacio –
– e se non indovino? – si in piedi davanti a me.
– ne dai uno a me –
– ah –
mi sono tolto le cuffie e tu ti chini su di me tenendo le mani sulle ginocchia.
le goccioline d’acqua corrono verso il basso sul tuo corpo abbronzato.
– dici che indovino? –
– boh –
– Yellow? –
– hai vinto! –
– ma non ti annoia? risentire per così tante volte la stessa canzone? –
– no, mica mi annoio di te –
sorridi e ti inginocchi sull’asciugamano.
– oh –
– vuoi ritirare il premio? –
– perché no –
sai di mare e miele.
e tutto diventa giallo e so che le stelle brillano per te.

stringimi forte. 

01 lunedì Ago 2016

Posted by emanuele in estate, immagini, me, racconti, te

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abbraccio, braccia, cuore, estate, mani, sera, sogno

– stringimi forte –
me lo dici così, all’improvviso, guardandomi dritto negli occhi.
– ti prego – aggiungi a mezza voce, quasi un sussurro.
credo sia un bisogno impellente il tuo, una necessità di cui non puoi e non vuoi fare a meno.
forse crolleresti per terra come un castello di carte colpito da una folata di vento.
mi prendi all’improvviso, per un attimo non so cosa fare, sul serio.
vorrei chiederti cosa c’è che non va, cosa ti pesa così tanto sul cuore.
e se fossi io? per un secondo mi passa per la testa anche questa possibilità, ma la spazzi via tu guardandomi diritto negli occhi, non abbassi lo sguardo.
apro le braccia e ti stringi a me, ma dovrei dire che ti aggrappi letteralmente a me. aspetto che appoggi la guancia sul mio petto, direttamente sul cuore. poi passi le mani sotto le mie braccia e intrecci le dita sulla mia schiena.
ti abbraccio anch’io.
– più forte – dici tu – stringimi più forte, non farmi volare via –

poi il silenzio, solo la brezza della sera sulla passeggiata davanti al mare ci fa da colonna sonora.
– batte forte –
– scusa – rispondo con un filo di voce.
i tuoi capelli mi solleticano il viso.
– mi piace –

ti stringo ancora un po’ più forte, e tu a me.

ce ne stiamo così, finché il sole inizia ad andare giù, oltre il mare.

#08

29 venerdì Lug 2016

Posted by emanuele in estate, flashback, immagini, me, notte, pensieri, persone, ricordi, te

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buonanotte, cornetta, gelato, notte, ricordi, sogno, telefonate, telefono

– buonanotte, dormi bene –
– anche tu –
non chiudiamo subito la conversazione, c’è un momento di silenzio, noi due e il silenzio della notte. il telefono appoggiato alla guancia, forse una lampada a illuminare la scena, un libro appoggiato sul letto per tenerci compagnia e farci sentire meno soli.
– notte – lo dici tu, con voce bassa, mi piace pensarlo che l’hai detto tenendo gli occhi chiusi spostando una ciocca ribelle.
– notte – ripeto io sorridendo, non so perché ma ti immagino con le gambe incrociate seduta sul letto.
poi il silenzio della fine della comunicazione.
appoggio il cellulare sul comodino, non so se accendere o meno la tv, guardo il libro che ho messo sul cuscino, aperto per tenere il segno.
“Di tutte le ricchezze” di Stefano Benni.
è una rilettura, ma mi è piaciuto davvero molto che ogni tanto lo apro e ne leggo un passo o due, a caso.
sistemo il cuscino e proseguo la lettura, guardo il posto vuoto affianco al mio.
sei fuori casa da solo due giorni, ma pare un mese.
finito di leggere spengo la lampada e rimango a fissare le ombre sul soffitto e la memoria fa un balzo indietro nel tempo.
la telefonata di prima mi ha fatto venire un po’ di malinconia, mi ha fatto pensare una delle prime telefonate, di quando preferivamo usare il telefono di casa piuttosto che il cellulare.
la cornetta aveva il suo fascino retrò, mi piaceva come si adattava perfettamente all’orecchio e seguiva il viso con la curva che tenevamo stretta quasi fosse un’ancora che ci tenesse legati da lontano.
era bello sapere che le nostre voci passavano dentro un filo e correvano veloci per la città, sottoterra.
per raggiungere l’altro.
aveva un non so che di romantico, che adesso abbiamo perso.

– pronto? – non era quasi mai la tua voce la prima che sentivo.
– buonasera signora – rispondevo io, alle volte era signore, se era tuo padre a rispondere.
– te la passo subito – era quasi sempre lo stesso cliché, lo stesso cambio di battute, quasi ogni sera.
– grazie, arrivederci –
il tuo nome veniva pronunciato tenendo una mano sul microfono, arrivava alle mie orecchie ovattato, lontano.
era un rituale che mi piaceva.
io me ne stavo seduto al tavolo della cucina, tamburellavo i polpastrelli sul legno e disegnavo distrattamente su un post-it.
poi arrivava il passaggio di consegne.
– grazie – era la tua voce che ringraziava tua mamma, poi si aspettava qualche secondo.
il tempo che ti lasciasse sola.
seguivi con gli occhi tua mamma o tuo papà che sparivano in cucina lasciandoti finalmente libera di rispondere.
– ciao –
a sentire la tua voce il cuore faceva come un doppio passo. o non so cosa, forse due battiti avanti e uno indietro.
non so.
però mi piaceva l’effetto che faceva nel petto e in gola.
deglutivo. la gola secca. smettevo di muovere le dita sul tavolo.
ancora adesso, ripensandoci provo le stesse emozioni.
che cosa buffa sono i ricordi.
– ciao – finalmente la voce usciva, piano, fioca come la fiamma di una candela mossa dal vento.
– speravo passassi oggi – lo dici con tono dispiaciuto.
– speravo di riuscire a liberarmi prima, ma domani passo presto –
– davvero? – subito ti accendi, ti vedo con il sorriso illuminarti.
– promesso –
– che mi racconti? –
e così iniziavano le nostre telefonate a raccontarci quello che avevamo fatto, manco fossimo due adolescenti alla prima cotta.
ma era il bello dell’inizio, del tutto nuovo che ci faceva scoprire lati che ancora non conoscevamo.
abbiamo anche imparato, e imparato presto, che alcune cose devono rimanere nell’ombra.
non per avere dei segreti, ma per avere un angolo tutto nostro dove rifugiarsi quando anche l’altro non può aiutarci.
non mi è mai accaduto di dovervi ricorrere in tutto questo tempo.

mi è venuta sete, mi tiro su e prendo un bicchiere d’acqua.
mi verrebbe quasi voglia di uscire a fare due passi, non è tardi e si sta bene fuori.
non fa caldo e non è umido.
mi affaccio al balcone, c’è gente che passeggia con un gelato e decido di scendere.
ti mando un messaggio.
– ancora sveglia? –
intanto mi cambio e ripenso ancora alle nostre telefonate.
– stavo leggendo, non riesci a dormire? fa caldo? –
– si, il sonno non arriva, fa caldo e mi è venuta voglia di uscire a prendermi un gelato –
– che invidia –
sorrido al pensiero del tuo viso imbronciato.
aspetto a scriverti ancora.
– non provare a mandarmi una foto del gelato… –
sorrido io stavolta.
– ok –
in strada c’è più gente di quanto immaginassi, vado verso la nostra gelateria preferita.
ormai conoscono i nostri gusti a memoria.
– che gusti hai preso? –
– sono in coda, c’è un sacco di gente che ha avuto la mia stessa idea –
– immagino… –
– comunque prenderò melone, pesca e lampone, se c’è, sennò fragola –
– uhmm ancora più invidia, qua non ci sono gelaterie buone come la nostra –
– dai, ancora qualche giorno e potrai fare indigestione di gelato! –
– non vedo l’ora… –
infilo il cellulare in tasca mentre ordino il cono da 3€.
– melone, pesca e lampone –
esco e mi godo il gusto pieno della frutta, mi siedo sulla nostra panchina alla luce calda di un lampione.
– preso? –
– si –
– c’era il lampone? –
– si –
– bene, io sto per addormentarmi… buonanotte a domani –
– buonanotte anche a te, a domani –

infilo di nuovo il cellulare in tasca e mi rilasso ritornando a quella telefonata.
e così ci raccontavamo quello che ci era successo durante il giorno, descrivevamo le cose viste e provate.
– domani passi allora? –
– si e se ti va possiamo pranzare assieme, che ne dici? –
– uhm –
mi sono sempre piaciuti i tuoi “uhm”, forse per il tono e la piccola smorfia che fai quando lo dici.
– penso di essere libera –
– molto bene –
– dove mi porti? –
– uhmm – i miei non erano come i tuoi, decisamente meno affascinanti.
– ho voglia di un bel piatto freddo con vista mare –
– ok, ce l’ho! –
– dov’è? –
– ah no, sarà una sorpresa… –
– uff –
ecco, un’altra espressione che mi piace molto in te.

sorrido seduto sulla panchina finendo il gelato, faccio due passi fino a che non sento il sonno arrivare.

– da quant’è che stiamo al telefono? –
– mi pare da un’ora… –
– sarà il caso di andare prima che arrivino i miei a tagliare il filo del telefono –
– ok, non vorrei che accadesse, sennò domani come faccio a chiamarti? –
– giusto… buonanotte, dormi bene –
– buonanotte anche a te, a domattina –
– a domani –
si aspettava il click della cornetta e poi si abbassava e si restava per un attimo a guardare il telefono ora muto e mero oggetto di arredo.

vorrei avere ancora oggi quel telefono, sarebbe come la Madeleine di Proust.
mi devo accontentare di whatsapp e augurarti la buonanotte così.

– buonanotte, a domani –

1:53

26 martedì Lug 2016

Posted by emanuele in estate, me, notte, pensieri, persone, te

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Tag

dormire, me, notte, paura, senzasonno, silenzio, sognare, sogni, sonno, te, vino

mi sono appena messo a letto, luci spente e non ho voglia di dormire. niente davvero.

ho un post in sospeso, ma ogni volta che provo a continuare mi viene in mente dell’altro; e quindi scrivo ancora.

– che fai? –
– cerco di dormire –
– pensieri? –
– si, un po’ –
– ti va di parlarne? –
– è tardi, dovresti dormire –
– grazie per la premura, ma non sono io quella che domattina si deve alzare per andare al lavoro… –
– già –
ti tiri su a sedere con le gambe incrociate, indossi una camicia da notte di lino, bianca.
illumini la stanza con il riflesso della luce da fuori.
la campana batte le due. il sonno è davvero lontano, sento nella testa i pensieri che si accavallano; li sento mettersi poi in fila, nero su bianco, su in foglio immaginario.
– quindi? – insisti tu.
ho imparato che non devo farti insistere, non fa bene a nessuno dei due. bisogna venire a compromessi, è una forma di rispetto.
– stavo pensando a noi –
fai una faccia strana, preoccupata.
– c’è qualcosa che non so? –
– no, non ho una crisi del… – ho un vuoto, non ricordo da quanto stiamo assieme.
– oh bè, peró non ti ricordi da quanto stiamo assieme… – ti scoccia un poco la cosa.
anche a me, a dire la verità.
– scusa, l’etá –
– scemo – lo dici con un misto d’affetto.
lo stomaco mi brontola, lo senti anche tu e sorridi.
– hai fame? –
– io no, lui sembrerebbe di si –
– vuoi dei biscotti? –
– no, grazie, vorrei solo dormire, senza sognare –
– fatto brutti sogni? –
– non ricordo, peró giurerei di si, per come mi sono svegliato ieri mattina –
– oh, mi spiace, potevi dirmelo –
– figurati, non mi ricordavo minimamente che ho sognato –
ti metti giú, sdraiata sul fianco destro e mi guardi.
– dovresti scriverli al mattino –
– cosa? i sogni? –
– si, funziona, li scrivi quando sono ancora vividi –
– ma alle volte uno non vuole scrivere i propri brutti sogni –
– vero, ma fa comunque bene, aiuta a esorcizzarli –
mi giro sul fianco sinistro, siamo vicini, poi tu ti metti a pancia in su e mi fai cenno di appoggiarmici sopra.
inizi ad accarezzarmi i capelli corti, piano piano sento il sonno arrivare.
ma prima di dormire gioco con l’orlo della tua camicia da notte.
ti sfioro la pelle liscia e morbida delle cosce.
– va un po’ meglio? – mi chiedi sfiorandomi l’orecchio destro.
– si –
– passati i pensieri? –
– no, quelli no, ma sta arrivando il sonno –
– be’ è già qualcosa –
– si credo di si –
il respiro si fa calmo, ti accarezzo la curva della coscia fino al fianco e poi alla vita.
e poi scendo fino al ginocchio e risalgo ancora.
lo faccio fino a sprofondare nel sonno, mi lascio cullare dalle tue carezze e spero di sognarti.

e nel sogno vorrei tornare a quella sera che ti ho incontrata la prima volta.
e hai lasciato un segno.
vorrei avvicinarmi per sentire quello che dicevi e osservarti meglio. vorrei fare il giro del tavolo e prendere un bicchiere di vino rosso, come il tuo, e proporti un brindisi.
tu avresti risposto che non eri la festeggiata, ma avresti sorriso lo stesso e avremmo brindato.
poi saremmo rimasti a parlare per il resto della serata davanti alla finestra che dava sulla strada.
fermi a parlare, sorridere.
e bere vino rosso fino a che le labbra non diventino rosse scure.

il respiro si fa ancora piú calmo, sento in lontananza un cane che abbaia, poi solo il tuo respiro che solleva la pancia.

voglio dormire. voglio sognarti.

3:27

14 giovedì Lug 2016

Posted by emanuele in caffé, estate, immagini, me, pensieri, persone, racconti, ricordi

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3:27, alba, amore, estate, insonne, insonnia, notte, pioggia, ricordi, sogni, solo

notte. mi sveglio fradicio di sudore, dopo la pioggia torrenziale della serata si è alzata un’afa terribile. impregna la maglietta che avevo messo perché c’era un po’ di venticello fresco. ma è tutto finito e l’umido ha preso nuovamente possesso della città e mi sono svegliato di soprassalto madido. 

apro gli occhi all’improvviso e mi tiro su a sedere. 

non ci sei. 

mi guardo attorno preoccupato, la mente è annebbiata dal sonno, dal poco sonno. 

sono le 3:27 e mi sveglio da solo nel nostro letto. 

c’è qualcosa che non ricordo, abbiamo forse litigato?

qualche sera prima abbiamo cenato a casa di amici e si sa, alle volte, vengono fuori discorsi futili che insidiano un piccolo tarlo nelle coppie e poi si continua a parlarne anche quando si è arrivati a casa. 

mentre si entra in casa, mentre io chiudo la porta a chiavi mentre tu ti togli i sandali e ti massaggi le tempie. 

segnale foriero di tempesta. 

rispondi a monosillabi e io, davvero io, non capisco che ci sia di così terribile nel…

niente, non ricordo nemmeno di che si stava parlando…

vai in bagno a prepararti, io ti raggiungo dopo aver aperto le finestre. 

sei ferma con lo spazzolino infilato in bocca, lo tieni stretto tra le labbra serrate. 

i nostri sguardi si incrociano nello specchio, non ho voglia di litigare e forse nemmeno tu, ne sono quasi sicuro, lo vuoi. 

ma finisce che a letto mi dai la schiena, indossi una camicia da notte leggera, con le spalline sottili; una è caduta lungo il braccio. 

vorrei sistemarla, ci penso su, un attimo di troppo e tu sospiri. 

buonanotte, mi dici e con un fruscio ti infili sotto il lenzuolo. 

buonanotte, rispondo io incrociando le braccia dietro la testa sul cuscino. 

fatto sta che sono le 3 e ormai 35 e io non so ancora perché sono solo. 

nel nostro letto. 

metto i piedi per terra. 

il mattino dopo facciamo colazione ridendo. 

sembra tutto a posto. 

provo un timido accenno alla sera precedente, mi fermi con un dito sulle labbra. 

sa di miele. 

a posto, lo dici guardandomi negli occhi. 

ok.

e comunque sono ancora confuso. 

poi mi sovviene una frase che mi dici a pranzo. 

starò via due giorni per un convegno, tiri fuori il programma dettagliato che ti ho stampato qualche giorno prima, ma di cui avevo dimenticato completamente l’esistenza. 

sorrido nel buio della notte come un cretino, il caldo mi ha appiccato addosso la maglietta e la smemoratezza. 

mi sento spossato. 

mi giro a guardare lo spazio vuoto del tuo posto e quasi un po’ di magone mi prende la gola. 

è la prima notte che siamo distanti. 

fa tanto film romantico anno ’90.

ma è così. 

quando tornerai ti porterò a cena fuori e berremo vino rosso per festeggiare a noi. 

ti chiederai il perché, ma io custodirò il segreto finché non lo dimenticherò io stesso. 

perché se te lo dicessi so che rideresti, ma non di presa in giro. 

saresti dolce come sempre accarezzandomi il viso per poi baciarmi dolcemente le labbra. 

ma intanto io sto qui a prendere fiato. 

mi alzo a bere, spalanco tutte le finestre per fare corrente e mi tolgo il pigiama. 

e poi?

poi mi rigiro fino al mattino senza più prendere sonno, inseguendo sogni a occhi aperti mentre girandomi non ti trovo. 

si fa l’alba e ormai è troppo tardi per il sonno, chissà se tu hai dormito bene. 

un po’ spero di sì, un po’ vorrei che il mio svegliarmi avesse svegliato anche te. 

ma la vita non è un film a colazione augurandomi buongiorno mi scriverai di aver dormito benissimo. 

anche io. ma mentirò. 

per amore.

17 anni.

09 sabato Lug 2016

Posted by emanuele in amici, estate, me, persone, ricordi

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amici, estate, futuro, mare, occhi verdi, passato, scogli, supertele, tuffi

ti svegli che hai 17 anni. forse è solo un sogno, questo è il primo pensiero che ti passa per il cervello. 

ma viene subito spazzato via dalla voce di tua madre che ti ricorda che tra mezz’ora hai da prendere un treno. 

è luglio. 

la sera prima hai visto la finale di Italia ’90: ha vinto la Germania Ovest contro l’Argentina con goal di Andreas Brehme. 

ma oggi vai al mare con i tuoi amici e avrai un’altra finale da giocare. 

ti butti giù dal letto e saluti i tuoi mentre ti infili in bagno per una doccia veloce. 

ti ho preparato lo zaino con il mangiare, ti dice tua mamma dall’altra parte della porta. 

ok, urli tu cercando di fare presto. 

accappatoio, costume e maglietta e sei pronto. 

espadrillas ai piedi e zaino in spalla saluti i tuoi. 

mi raccomando i tuffi, l’ultima raccomandazione di tua mamma mentre tuo padre sorride da sopra il giornale. 

prima di uscire lei ti fa scivolare in tasca 10mila lire. 

per il gelato, ti sussurra dandoti un bacio. 

grazie mamma.

arrivi in stazione che ci sono già tutti. 

ohi, visto che schifo la finale?

si, davvero. 

biglietto fatto si sale al binario numero 5. 

in treno la conversazione passa dal calcio in TV a quello di spiaggia, le ragazze fanno le parole crociate e leggono Cioè. 

ridono mentre vi guardano. 

sono anni avanti. 

e voi annaspate negli ormoni che affogate nel calcio e nei motorini truccati. 

tu intanto pensi ancora che stai sognando. che hai 43 anni e la sveglia sta per suonare e ti strapperà al sonno e al sogno dei tuoi diciassette anni. 

ohi Nico, stai ancora dormendo?

eh?

sveglia!dai che si scende. 

ci si butta giù letteralmente dal treno, fa caldo. 

si vede l’aria bollente danzare sulle rotaie roventi. 

il sudore ti imperla il labbro superiore. 

lo lecchi via stupendoti di non sentire i baffi, ti accarezzi il viso senza barba. 

correte verso il sottopasso.  

il pallone rimbalza sull’asfalto della strada mentre cercate le scalette che portano alla spiaggia. 

niente sabbia, ma piccoli sassi neri e vetri colorati vi aspettano. 

qualche scoglio da dove fare i tuffi proibiti. 

e ancora poca gente. 

via le magliette, zaini nascosti all’ombra e via in acqua. 

la crema non serve, le spalle sono già bruciate dal sole, le lentiggini sono su viso, braccia e spalle. 

ti piacciono e ogni tanto ripensi all’estate di due anni prima. le ripetizioni di francese dalla tua professoressa delle medie, te le faceva la figlia. e niente, perdesti la testa senza saperlo, instillò in te il seme di quella piccola imperfezione della pelle e dei capelli rossi. 

ancora non lo sai, ma quell’estate ti segnerà il futuro. 

ti tuffi in acqua e riemergi con i tuoi amici intorno e dopo un paio di bracciate andate alla ricerca di un posto dove giocare a calcio. 

basta una porta immaginaria nella parete a strapiombo sul mare e poi via di acrobazie. 

valgono solo tiri al volo, e si va di rovesciate e colpi che manco Van Basten li faceva. 

chi sbaglia o si fa parare il tiro va in porta, e ti capita sovente di andarci.

sei un difensore, uno all’antica. 

arcigno libero. 

quando ancora esisteva quel ruolo così affascinante. 

comandare la difesa dagli assalti degli avversari. 

il tempo passa e la stanchezza no si sente, a diciassette anni le batterie sono infinite. 

vi chiamano le ragazze per mangiare assieme. 

tutti amici.  

eppure sono carine. alcune molto carine. 

ma siete tutti amici, alla pari.

dopo pranzo vince un po’ la voglia di stare tranquilli, rimanete sdraiati a mollo mentre cantate e ridete a squarciagola. 

poco distante da voi ci sono un gruppo di sole ragazze. 

ehi, visto?

che?

quelle tre laggiù. 

uhm. 

secondo me sono carine. 

secondo me non vi calcolano nemmeno, intervengono le nostre ragazze. 

gelose. 

di voi?

si mettono a ridere e si alzano. 

noi andiamo a giocare a pallavolo. 

tu le guardi andare via, indeciso sul da farsi. 

tu non vieni?

io rimango ancora un po’ qua. 

guarda che non ti si filano quelle là, se ne vanno via ridendo facendo le smorfie. 

ma chi se ne frega? io mi metto un po’ a prendere il sole. e ti sdrai sulle pietroline nere con l’acqua che va e viene, piano. 

a un certo punto non senti più nulla, nemmeno l’acqua. 

non sai quanto tempo è passato. 

ehi.  

qualcuno urla. ma la voce è lontana. 

ehi tu. 

tiri su la testa, ti sei addormentato e ti guardi in giro con gli occhi assonati. 

il sole ti abbaglia e vedi un supertele accanto a te che va su e giù per la spiaggia. 

il pallone, ce lo tiri? urla una delle ragazze viste prima. 

per favore, aggiunge un’altra. 

ti alzi e prendi il pallone tra le mani abbronzate; ci pensi su, sai già che faresti una pessima figura a tirarlo. 

si sa che il supertele è bastardo, prende traiettorie tutte sue. è il pallone più odiato da tutti i portieri da campetto e da spiaggia del mondo. 

ti avvicini alle ragazze. 

sono carine.

avevano ragione gli altri. 

ecco. dici tu lanciandolo da una distanza di sicurezza, una distanza che non permette errori di traiettorie e nello stesso tempo mantiene un certo distacco dalle tre. 

in fin dei conti hai diciassette anni e sei timido. arrossisci sempre, non che a 43 anni tu abbia smesso. 

grazie. risponde la più carina. 

occhi verdi sotto capelli cotti dal sale e dal sole, un misto tra il biondo e il rosso. 

forse frutto di una tinta fai da te. 

prego. lo pensi solo, perché non esce che una cosa tipo …go. 

hai la gola secca. 

e sorridi. 

lei sorride e ride un poco. 

torno a giocare. 

sorridi. 

io, io torno a dormire. si ecco, bravo. 

ok, buonanotte allora…

mi chiamo Nico. 

io Giulia, piacere. 

rimanete in silenzio, lei ripete che va che le amiche già si stanno lamentando. 

ciao. 

ciao. 

torni al tuo posto e i tuoi amici ti chiamano per:

primo sapere come sono le tre ragazze. 

secondo per tuffarsi dagli scogli. 

arrivo, arrivo.

gli altri sono già in cima agli scogli, tu inizi la salita saggiando bene gli appigli. 

allora?

sono carine. 

carine e basta?

una è simpatica. 

se è simpatica non è carina…

che idiota. 

beh le hai chiesto di uscire?

ma che sei scemo…

arrivi in cima. 

guardi di sotto e tutto è più piccolo. 

le ragazze stanno in acqua a guardarvi, dal basso e controllano che non ci siano scogli o rocce sotto il pelo dell’acqua. 

dai, su che è profondo! gridano. 

tu guardi giù e poi guardi le ragazze lontane, dove ci sta Giulia. 

che l’hai appena conosciuta, ma quegli occhi verdi ti hanno fatto uno strano effetto. 

allora? ti butti o hai bisogno di un invito?

o di una spinta? fa un amico dandogli un colpetto sulla spalla. 

ohi, scemo. dici tu. 

sorridi ai tuoi amici, un sorriso serio, da grande. 

dai le spalle al mare, al sole e alle ragazze. 

senti i loro occhi addosso. 

i tuoi amici ti guardano stupiti. 

non lo farai mai. 

sta a vedere. 

sorridi ancora, apri le braccia e fai un passo indietro ancora. 

ancora uno e sei nel vuoto. 

ti spingi un poco indietro e per un attimo il tempo si ferma. 

gli amici ti guardano con un misto di stupore e ammirazione. 

ti senti grande. 

sorridi e mentre il tempo riprende a scorrere senti le urla delle tue amiche, inarchi la schiena e il mondo si capovolge e sei sicuro che gli occhi verdi di Giulia sono piantati nei tuoi. 

sorridi, unisci le mani e senti il fragore dell’acqua quando il corpo entra e tutto diventa blu e bianco. 

affiori in superficie con uno sbuffo e le tue amiche ti dicono che sei uno scemo. 

tu alzi le spalle e risali sullo scoglio. 

vi tuffate fino allo sfinimento. 

fino a quando il sole illumina tutto d’oro e bisogna tornare a casa. 

riprendete gli zaini, le spalle bruciano di sale e sole quando ci metti su la maglietta. ti attardi a salire. 

arrivano le ragazze del supertele. 

Giulia è l’ultima. 

vi fermate e vi sorridete. 

ha le spalle bruciacchiate dal sole, gli occhi sono ancora più verdi da sotto i capelli asciugati alla bene e meglio.

le guance sono rosse, per il sole e forse per te. 

ma tu non hai che occhi per i suoi occhi. 

prendi il prossimo treno pure tu?

si, verso levante. 

ah. 

qualcosa si rompe dentro. 

tu verso Genova?

già. lo dici quasi come se fosse un peccato. 

peccato. lo dice lei. 

però domani sarò di nuovo qua. 

oh. io parto per le vacanze coi miei. 

ah. 

il destino alle volte ci si mette d’impegno. 

salite le scale vicini, le spalle quasi si sfiorano e le mani pure, dorso contro dorso. 

muovi le dita contro le sue, lei ti sorride con gli occhi. 

giureresti di sentire il battito del suo cuore, ma forse è solo il tuo che batte troppo forte. 

e non è colpa delle scale. 

in stazione ci sono già tutti, vi guardano arrivare. 

sorridono. 

tutti. 

vi andate a sedere su una panchina. 

tra quanto? chiedi tu tenendo lo sguardo fisso in avanti. 

5 minuti, risponde lei con la voce bassa, come per scusarsi. 

e allora le racconti tutta la tua vita, di come diventerai un grande fotografo, di come lei sarà la tua musa, la tua modella perfetta. 

e lei ti ascolta senza perdere una parola di quello che dici. 

e sorride. 

non smette di sorridere. 

e poi arriva il treno. 

e sarebbe il momento giusto per un bacio di arrivederci.

ma preferisci guardare i suoi occhi lucidi. 

allora ci vedremo quando diventerai un fotografo. 

si, te lo prometto. 

so che manterrai la promessa. 

e guardi le sue spalle bruciacchiate dal sole, il supertele nella rete appeso allo zaino invicta. 

sarà l’estate più bella della tua vita.

oggi è così.

04 lunedì Lug 2016

Posted by emanuele in alcool, estate, immagini, me, notte, racconti, tattoo

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alcool, dark, dormire, estate, musica, pelle, red, redhot, rhcp, sognare, sogni, video

oggi è così. e non è per niente facile. tutto diventa difficile quando ti metto a fuoco. alle volte vorrei solo lasciarti sfocata in un angolo remoto della mente. in un posto lontano.
un posto dove io veda solo i contorni luminosi e chiari del tuo viso.

alle volte mi basta il tuo pensiero per rallentare tutto quanto. non è facile poi se ci sono certe canzoni che con il loro ritmo, con il loro incipit segnano le parole che vorrei scrivere qua sopra.

ma non lo faccio. aspetto che le immagini si fermino, si mettano a fuoco da sole, perchè io da solo non ce la faccio. da solo riesco a sistemare le mani davanti al mio viso, come al solito sono rovinate. mangiate e macchiate di rosso.

di più non riesco a fare, o meglio di più non voglio fare. perchè se iniziassi a scrivere ne uscirebbero fiumi di parole (cit.)

ma al momento fermo le immagini su di te.
stasera ho bevuto un paio di cocktail, niente di che, ma era un po’ che non lo facevo e l’alcool ha smosso cose e le dita avevano bisogno di scrivere.
mi viene difficile farlo, le dita si confondono, corrono veloci sui tasti e spesso devo tornare indietro, correggere gli errori di battitura, ci sto mettendo il doppio del tempo a scrivere. ma se non lo facessi risulterebbe illeggibile.

passo le mani tra i capelli e la barba che sto facendo crescere. non mi va di tagliarla, non mi va di andare al lavoro domattina.
vorrei andare a farmi altri tatuaggi sul corpo. sentire gli aghi che lasciano un segno indelebile sulla mia pelle, che raccontano una storia.

voglio nuovi colori, nuove immagini a segnare un capitolo nuovo della mia vita. qualcosa che mi ha segnato. che mi ha lasciato un ricordo indelebile.

vorrei scrivere un pezzo, un bel pezzo devo dire la verità. perchè so già che vi piacerebbe, che ti piacerebbe se lo leggessi. ma non riesco a farlo.
non posso farlo. sarebbe come mettere a fuoco tutto quanto. come se facessi la foto perfetta, con la composizione, la luce e il soggetto perfetto.

potrei girarci un film.

ma non conosco la fine.

l’alcool ha lasciato lo spazio alla sete, sto bevendo acqua e the freddo. non dormirò. domattina mi alzerò presto con la luce del sole che filtra dalle finestre.
e avrò ancora in testa la canzone che mi ronza in testa da tutto il giorno. odio quando certe canzoni entrano così nella mia testa, nella mia vita.
ma è bastato il giro di basso all’inizio per farmi rivivere quelle sensazioni, per farmi visualizzare quello che vorrei scrivere. solo un giro di basso e via, le immagini sono arrivate senza fine.

sempre le stesse.

prima o poi scriverò questo testo. tanto sono sicuro che dalla mia testa non se ne va.

e ora posso andare a dormire. o almeno a letto. poi si vedrà

 

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