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cose mentali

~ del perché i pensieri si muovono dentro di me

cose mentali

Archivi della categoria: ricordi

#08

29 venerdì Lug 2016

Posted by emanuele in estate, flashback, immagini, me, notte, pensieri, persone, ricordi, te

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buonanotte, cornetta, gelato, notte, ricordi, sogno, telefonate, telefono

– buonanotte, dormi bene –
– anche tu –
non chiudiamo subito la conversazione, c’è un momento di silenzio, noi due e il silenzio della notte. il telefono appoggiato alla guancia, forse una lampada a illuminare la scena, un libro appoggiato sul letto per tenerci compagnia e farci sentire meno soli.
– notte – lo dici tu, con voce bassa, mi piace pensarlo che l’hai detto tenendo gli occhi chiusi spostando una ciocca ribelle.
– notte – ripeto io sorridendo, non so perché ma ti immagino con le gambe incrociate seduta sul letto.
poi il silenzio della fine della comunicazione.
appoggio il cellulare sul comodino, non so se accendere o meno la tv, guardo il libro che ho messo sul cuscino, aperto per tenere il segno.
“Di tutte le ricchezze” di Stefano Benni.
è una rilettura, ma mi è piaciuto davvero molto che ogni tanto lo apro e ne leggo un passo o due, a caso.
sistemo il cuscino e proseguo la lettura, guardo il posto vuoto affianco al mio.
sei fuori casa da solo due giorni, ma pare un mese.
finito di leggere spengo la lampada e rimango a fissare le ombre sul soffitto e la memoria fa un balzo indietro nel tempo.
la telefonata di prima mi ha fatto venire un po’ di malinconia, mi ha fatto pensare una delle prime telefonate, di quando preferivamo usare il telefono di casa piuttosto che il cellulare.
la cornetta aveva il suo fascino retrò, mi piaceva come si adattava perfettamente all’orecchio e seguiva il viso con la curva che tenevamo stretta quasi fosse un’ancora che ci tenesse legati da lontano.
era bello sapere che le nostre voci passavano dentro un filo e correvano veloci per la città, sottoterra.
per raggiungere l’altro.
aveva un non so che di romantico, che adesso abbiamo perso.

– pronto? – non era quasi mai la tua voce la prima che sentivo.
– buonasera signora – rispondevo io, alle volte era signore, se era tuo padre a rispondere.
– te la passo subito – era quasi sempre lo stesso cliché, lo stesso cambio di battute, quasi ogni sera.
– grazie, arrivederci –
il tuo nome veniva pronunciato tenendo una mano sul microfono, arrivava alle mie orecchie ovattato, lontano.
era un rituale che mi piaceva.
io me ne stavo seduto al tavolo della cucina, tamburellavo i polpastrelli sul legno e disegnavo distrattamente su un post-it.
poi arrivava il passaggio di consegne.
– grazie – era la tua voce che ringraziava tua mamma, poi si aspettava qualche secondo.
il tempo che ti lasciasse sola.
seguivi con gli occhi tua mamma o tuo papà che sparivano in cucina lasciandoti finalmente libera di rispondere.
– ciao –
a sentire la tua voce il cuore faceva come un doppio passo. o non so cosa, forse due battiti avanti e uno indietro.
non so.
però mi piaceva l’effetto che faceva nel petto e in gola.
deglutivo. la gola secca. smettevo di muovere le dita sul tavolo.
ancora adesso, ripensandoci provo le stesse emozioni.
che cosa buffa sono i ricordi.
– ciao – finalmente la voce usciva, piano, fioca come la fiamma di una candela mossa dal vento.
– speravo passassi oggi – lo dici con tono dispiaciuto.
– speravo di riuscire a liberarmi prima, ma domani passo presto –
– davvero? – subito ti accendi, ti vedo con il sorriso illuminarti.
– promesso –
– che mi racconti? –
e così iniziavano le nostre telefonate a raccontarci quello che avevamo fatto, manco fossimo due adolescenti alla prima cotta.
ma era il bello dell’inizio, del tutto nuovo che ci faceva scoprire lati che ancora non conoscevamo.
abbiamo anche imparato, e imparato presto, che alcune cose devono rimanere nell’ombra.
non per avere dei segreti, ma per avere un angolo tutto nostro dove rifugiarsi quando anche l’altro non può aiutarci.
non mi è mai accaduto di dovervi ricorrere in tutto questo tempo.

mi è venuta sete, mi tiro su e prendo un bicchiere d’acqua.
mi verrebbe quasi voglia di uscire a fare due passi, non è tardi e si sta bene fuori.
non fa caldo e non è umido.
mi affaccio al balcone, c’è gente che passeggia con un gelato e decido di scendere.
ti mando un messaggio.
– ancora sveglia? –
intanto mi cambio e ripenso ancora alle nostre telefonate.
– stavo leggendo, non riesci a dormire? fa caldo? –
– si, il sonno non arriva, fa caldo e mi è venuta voglia di uscire a prendermi un gelato –
– che invidia –
sorrido al pensiero del tuo viso imbronciato.
aspetto a scriverti ancora.
– non provare a mandarmi una foto del gelato… –
sorrido io stavolta.
– ok –
in strada c’è più gente di quanto immaginassi, vado verso la nostra gelateria preferita.
ormai conoscono i nostri gusti a memoria.
– che gusti hai preso? –
– sono in coda, c’è un sacco di gente che ha avuto la mia stessa idea –
– immagino… –
– comunque prenderò melone, pesca e lampone, se c’è, sennò fragola –
– uhmm ancora più invidia, qua non ci sono gelaterie buone come la nostra –
– dai, ancora qualche giorno e potrai fare indigestione di gelato! –
– non vedo l’ora… –
infilo il cellulare in tasca mentre ordino il cono da 3€.
– melone, pesca e lampone –
esco e mi godo il gusto pieno della frutta, mi siedo sulla nostra panchina alla luce calda di un lampione.
– preso? –
– si –
– c’era il lampone? –
– si –
– bene, io sto per addormentarmi… buonanotte a domani –
– buonanotte anche a te, a domani –

infilo di nuovo il cellulare in tasca e mi rilasso ritornando a quella telefonata.
e così ci raccontavamo quello che ci era successo durante il giorno, descrivevamo le cose viste e provate.
– domani passi allora? –
– si e se ti va possiamo pranzare assieme, che ne dici? –
– uhm –
mi sono sempre piaciuti i tuoi “uhm”, forse per il tono e la piccola smorfia che fai quando lo dici.
– penso di essere libera –
– molto bene –
– dove mi porti? –
– uhmm – i miei non erano come i tuoi, decisamente meno affascinanti.
– ho voglia di un bel piatto freddo con vista mare –
– ok, ce l’ho! –
– dov’è? –
– ah no, sarà una sorpresa… –
– uff –
ecco, un’altra espressione che mi piace molto in te.

sorrido seduto sulla panchina finendo il gelato, faccio due passi fino a che non sento il sonno arrivare.

– da quant’è che stiamo al telefono? –
– mi pare da un’ora… –
– sarà il caso di andare prima che arrivino i miei a tagliare il filo del telefono –
– ok, non vorrei che accadesse, sennò domani come faccio a chiamarti? –
– giusto… buonanotte, dormi bene –
– buonanotte anche a te, a domattina –
– a domani –
si aspettava il click della cornetta e poi si abbassava e si restava per un attimo a guardare il telefono ora muto e mero oggetto di arredo.

vorrei avere ancora oggi quel telefono, sarebbe come la Madeleine di Proust.
mi devo accontentare di whatsapp e augurarti la buonanotte così.

– buonanotte, a domani –

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3:27

14 giovedì Lug 2016

Posted by emanuele in caffé, estate, immagini, me, pensieri, persone, racconti, ricordi

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Tag

3:27, alba, amore, estate, insonne, insonnia, notte, pioggia, ricordi, sogni, solo

notte. mi sveglio fradicio di sudore, dopo la pioggia torrenziale della serata si è alzata un’afa terribile. impregna la maglietta che avevo messo perché c’era un po’ di venticello fresco. ma è tutto finito e l’umido ha preso nuovamente possesso della città e mi sono svegliato di soprassalto madido. 

apro gli occhi all’improvviso e mi tiro su a sedere. 

non ci sei. 

mi guardo attorno preoccupato, la mente è annebbiata dal sonno, dal poco sonno. 

sono le 3:27 e mi sveglio da solo nel nostro letto. 

c’è qualcosa che non ricordo, abbiamo forse litigato?

qualche sera prima abbiamo cenato a casa di amici e si sa, alle volte, vengono fuori discorsi futili che insidiano un piccolo tarlo nelle coppie e poi si continua a parlarne anche quando si è arrivati a casa. 

mentre si entra in casa, mentre io chiudo la porta a chiavi mentre tu ti togli i sandali e ti massaggi le tempie. 

segnale foriero di tempesta. 

rispondi a monosillabi e io, davvero io, non capisco che ci sia di così terribile nel…

niente, non ricordo nemmeno di che si stava parlando…

vai in bagno a prepararti, io ti raggiungo dopo aver aperto le finestre. 

sei ferma con lo spazzolino infilato in bocca, lo tieni stretto tra le labbra serrate. 

i nostri sguardi si incrociano nello specchio, non ho voglia di litigare e forse nemmeno tu, ne sono quasi sicuro, lo vuoi. 

ma finisce che a letto mi dai la schiena, indossi una camicia da notte leggera, con le spalline sottili; una è caduta lungo il braccio. 

vorrei sistemarla, ci penso su, un attimo di troppo e tu sospiri. 

buonanotte, mi dici e con un fruscio ti infili sotto il lenzuolo. 

buonanotte, rispondo io incrociando le braccia dietro la testa sul cuscino. 

fatto sta che sono le 3 e ormai 35 e io non so ancora perché sono solo. 

nel nostro letto. 

metto i piedi per terra. 

il mattino dopo facciamo colazione ridendo. 

sembra tutto a posto. 

provo un timido accenno alla sera precedente, mi fermi con un dito sulle labbra. 

sa di miele. 

a posto, lo dici guardandomi negli occhi. 

ok.

e comunque sono ancora confuso. 

poi mi sovviene una frase che mi dici a pranzo. 

starò via due giorni per un convegno, tiri fuori il programma dettagliato che ti ho stampato qualche giorno prima, ma di cui avevo dimenticato completamente l’esistenza. 

sorrido nel buio della notte come un cretino, il caldo mi ha appiccato addosso la maglietta e la smemoratezza. 

mi sento spossato. 

mi giro a guardare lo spazio vuoto del tuo posto e quasi un po’ di magone mi prende la gola. 

è la prima notte che siamo distanti. 

fa tanto film romantico anno ’90.

ma è così. 

quando tornerai ti porterò a cena fuori e berremo vino rosso per festeggiare a noi. 

ti chiederai il perché, ma io custodirò il segreto finché non lo dimenticherò io stesso. 

perché se te lo dicessi so che rideresti, ma non di presa in giro. 

saresti dolce come sempre accarezzandomi il viso per poi baciarmi dolcemente le labbra. 

ma intanto io sto qui a prendere fiato. 

mi alzo a bere, spalanco tutte le finestre per fare corrente e mi tolgo il pigiama. 

e poi?

poi mi rigiro fino al mattino senza più prendere sonno, inseguendo sogni a occhi aperti mentre girandomi non ti trovo. 

si fa l’alba e ormai è troppo tardi per il sonno, chissà se tu hai dormito bene. 

un po’ spero di sì, un po’ vorrei che il mio svegliarmi avesse svegliato anche te. 

ma la vita non è un film a colazione augurandomi buongiorno mi scriverai di aver dormito benissimo. 

anche io. ma mentirò. 

per amore.

17 anni.

09 sabato Lug 2016

Posted by emanuele in amici, estate, me, persone, ricordi

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amici, estate, futuro, mare, occhi verdi, passato, scogli, supertele, tuffi

ti svegli che hai 17 anni. forse è solo un sogno, questo è il primo pensiero che ti passa per il cervello. 

ma viene subito spazzato via dalla voce di tua madre che ti ricorda che tra mezz’ora hai da prendere un treno. 

è luglio. 

la sera prima hai visto la finale di Italia ’90: ha vinto la Germania Ovest contro l’Argentina con goal di Andreas Brehme. 

ma oggi vai al mare con i tuoi amici e avrai un’altra finale da giocare. 

ti butti giù dal letto e saluti i tuoi mentre ti infili in bagno per una doccia veloce. 

ti ho preparato lo zaino con il mangiare, ti dice tua mamma dall’altra parte della porta. 

ok, urli tu cercando di fare presto. 

accappatoio, costume e maglietta e sei pronto. 

espadrillas ai piedi e zaino in spalla saluti i tuoi. 

mi raccomando i tuffi, l’ultima raccomandazione di tua mamma mentre tuo padre sorride da sopra il giornale. 

prima di uscire lei ti fa scivolare in tasca 10mila lire. 

per il gelato, ti sussurra dandoti un bacio. 

grazie mamma.

arrivi in stazione che ci sono già tutti. 

ohi, visto che schifo la finale?

si, davvero. 

biglietto fatto si sale al binario numero 5. 

in treno la conversazione passa dal calcio in TV a quello di spiaggia, le ragazze fanno le parole crociate e leggono Cioè. 

ridono mentre vi guardano. 

sono anni avanti. 

e voi annaspate negli ormoni che affogate nel calcio e nei motorini truccati. 

tu intanto pensi ancora che stai sognando. che hai 43 anni e la sveglia sta per suonare e ti strapperà al sonno e al sogno dei tuoi diciassette anni. 

ohi Nico, stai ancora dormendo?

eh?

sveglia!dai che si scende. 

ci si butta giù letteralmente dal treno, fa caldo. 

si vede l’aria bollente danzare sulle rotaie roventi. 

il sudore ti imperla il labbro superiore. 

lo lecchi via stupendoti di non sentire i baffi, ti accarezzi il viso senza barba. 

correte verso il sottopasso.  

il pallone rimbalza sull’asfalto della strada mentre cercate le scalette che portano alla spiaggia. 

niente sabbia, ma piccoli sassi neri e vetri colorati vi aspettano. 

qualche scoglio da dove fare i tuffi proibiti. 

e ancora poca gente. 

via le magliette, zaini nascosti all’ombra e via in acqua. 

la crema non serve, le spalle sono già bruciate dal sole, le lentiggini sono su viso, braccia e spalle. 

ti piacciono e ogni tanto ripensi all’estate di due anni prima. le ripetizioni di francese dalla tua professoressa delle medie, te le faceva la figlia. e niente, perdesti la testa senza saperlo, instillò in te il seme di quella piccola imperfezione della pelle e dei capelli rossi. 

ancora non lo sai, ma quell’estate ti segnerà il futuro. 

ti tuffi in acqua e riemergi con i tuoi amici intorno e dopo un paio di bracciate andate alla ricerca di un posto dove giocare a calcio. 

basta una porta immaginaria nella parete a strapiombo sul mare e poi via di acrobazie. 

valgono solo tiri al volo, e si va di rovesciate e colpi che manco Van Basten li faceva. 

chi sbaglia o si fa parare il tiro va in porta, e ti capita sovente di andarci.

sei un difensore, uno all’antica. 

arcigno libero. 

quando ancora esisteva quel ruolo così affascinante. 

comandare la difesa dagli assalti degli avversari. 

il tempo passa e la stanchezza no si sente, a diciassette anni le batterie sono infinite. 

vi chiamano le ragazze per mangiare assieme. 

tutti amici.  

eppure sono carine. alcune molto carine. 

ma siete tutti amici, alla pari.

dopo pranzo vince un po’ la voglia di stare tranquilli, rimanete sdraiati a mollo mentre cantate e ridete a squarciagola. 

poco distante da voi ci sono un gruppo di sole ragazze. 

ehi, visto?

che?

quelle tre laggiù. 

uhm. 

secondo me sono carine. 

secondo me non vi calcolano nemmeno, intervengono le nostre ragazze. 

gelose. 

di voi?

si mettono a ridere e si alzano. 

noi andiamo a giocare a pallavolo. 

tu le guardi andare via, indeciso sul da farsi. 

tu non vieni?

io rimango ancora un po’ qua. 

guarda che non ti si filano quelle là, se ne vanno via ridendo facendo le smorfie. 

ma chi se ne frega? io mi metto un po’ a prendere il sole. e ti sdrai sulle pietroline nere con l’acqua che va e viene, piano. 

a un certo punto non senti più nulla, nemmeno l’acqua. 

non sai quanto tempo è passato. 

ehi.  

qualcuno urla. ma la voce è lontana. 

ehi tu. 

tiri su la testa, ti sei addormentato e ti guardi in giro con gli occhi assonati. 

il sole ti abbaglia e vedi un supertele accanto a te che va su e giù per la spiaggia. 

il pallone, ce lo tiri? urla una delle ragazze viste prima. 

per favore, aggiunge un’altra. 

ti alzi e prendi il pallone tra le mani abbronzate; ci pensi su, sai già che faresti una pessima figura a tirarlo. 

si sa che il supertele è bastardo, prende traiettorie tutte sue. è il pallone più odiato da tutti i portieri da campetto e da spiaggia del mondo. 

ti avvicini alle ragazze. 

sono carine.

avevano ragione gli altri. 

ecco. dici tu lanciandolo da una distanza di sicurezza, una distanza che non permette errori di traiettorie e nello stesso tempo mantiene un certo distacco dalle tre. 

in fin dei conti hai diciassette anni e sei timido. arrossisci sempre, non che a 43 anni tu abbia smesso. 

grazie. risponde la più carina. 

occhi verdi sotto capelli cotti dal sale e dal sole, un misto tra il biondo e il rosso. 

forse frutto di una tinta fai da te. 

prego. lo pensi solo, perché non esce che una cosa tipo …go. 

hai la gola secca. 

e sorridi. 

lei sorride e ride un poco. 

torno a giocare. 

sorridi. 

io, io torno a dormire. si ecco, bravo. 

ok, buonanotte allora…

mi chiamo Nico. 

io Giulia, piacere. 

rimanete in silenzio, lei ripete che va che le amiche già si stanno lamentando. 

ciao. 

ciao. 

torni al tuo posto e i tuoi amici ti chiamano per:

primo sapere come sono le tre ragazze. 

secondo per tuffarsi dagli scogli. 

arrivo, arrivo.

gli altri sono già in cima agli scogli, tu inizi la salita saggiando bene gli appigli. 

allora?

sono carine. 

carine e basta?

una è simpatica. 

se è simpatica non è carina…

che idiota. 

beh le hai chiesto di uscire?

ma che sei scemo…

arrivi in cima. 

guardi di sotto e tutto è più piccolo. 

le ragazze stanno in acqua a guardarvi, dal basso e controllano che non ci siano scogli o rocce sotto il pelo dell’acqua. 

dai, su che è profondo! gridano. 

tu guardi giù e poi guardi le ragazze lontane, dove ci sta Giulia. 

che l’hai appena conosciuta, ma quegli occhi verdi ti hanno fatto uno strano effetto. 

allora? ti butti o hai bisogno di un invito?

o di una spinta? fa un amico dandogli un colpetto sulla spalla. 

ohi, scemo. dici tu. 

sorridi ai tuoi amici, un sorriso serio, da grande. 

dai le spalle al mare, al sole e alle ragazze. 

senti i loro occhi addosso. 

i tuoi amici ti guardano stupiti. 

non lo farai mai. 

sta a vedere. 

sorridi ancora, apri le braccia e fai un passo indietro ancora. 

ancora uno e sei nel vuoto. 

ti spingi un poco indietro e per un attimo il tempo si ferma. 

gli amici ti guardano con un misto di stupore e ammirazione. 

ti senti grande. 

sorridi e mentre il tempo riprende a scorrere senti le urla delle tue amiche, inarchi la schiena e il mondo si capovolge e sei sicuro che gli occhi verdi di Giulia sono piantati nei tuoi. 

sorridi, unisci le mani e senti il fragore dell’acqua quando il corpo entra e tutto diventa blu e bianco. 

affiori in superficie con uno sbuffo e le tue amiche ti dicono che sei uno scemo. 

tu alzi le spalle e risali sullo scoglio. 

vi tuffate fino allo sfinimento. 

fino a quando il sole illumina tutto d’oro e bisogna tornare a casa. 

riprendete gli zaini, le spalle bruciano di sale e sole quando ci metti su la maglietta. ti attardi a salire. 

arrivano le ragazze del supertele. 

Giulia è l’ultima. 

vi fermate e vi sorridete. 

ha le spalle bruciacchiate dal sole, gli occhi sono ancora più verdi da sotto i capelli asciugati alla bene e meglio.

le guance sono rosse, per il sole e forse per te. 

ma tu non hai che occhi per i suoi occhi. 

prendi il prossimo treno pure tu?

si, verso levante. 

ah. 

qualcosa si rompe dentro. 

tu verso Genova?

già. lo dici quasi come se fosse un peccato. 

peccato. lo dice lei. 

però domani sarò di nuovo qua. 

oh. io parto per le vacanze coi miei. 

ah. 

il destino alle volte ci si mette d’impegno. 

salite le scale vicini, le spalle quasi si sfiorano e le mani pure, dorso contro dorso. 

muovi le dita contro le sue, lei ti sorride con gli occhi. 

giureresti di sentire il battito del suo cuore, ma forse è solo il tuo che batte troppo forte. 

e non è colpa delle scale. 

in stazione ci sono già tutti, vi guardano arrivare. 

sorridono. 

tutti. 

vi andate a sedere su una panchina. 

tra quanto? chiedi tu tenendo lo sguardo fisso in avanti. 

5 minuti, risponde lei con la voce bassa, come per scusarsi. 

e allora le racconti tutta la tua vita, di come diventerai un grande fotografo, di come lei sarà la tua musa, la tua modella perfetta. 

e lei ti ascolta senza perdere una parola di quello che dici. 

e sorride. 

non smette di sorridere. 

e poi arriva il treno. 

e sarebbe il momento giusto per un bacio di arrivederci.

ma preferisci guardare i suoi occhi lucidi. 

allora ci vedremo quando diventerai un fotografo. 

si, te lo prometto. 

so che manterrai la promessa. 

e guardi le sue spalle bruciacchiate dal sole, il supertele nella rete appeso allo zaino invicta. 

sarà l’estate più bella della tua vita.

un posto da chiamare casa

13 martedì Ott 2015

Posted by emanuele in amici, libri, ricordi, viaggio

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amici, bisogno, calore, casa, cuore, francia, home, lione, necessità, viaggiare, viaggio

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io sono un po’ strano, non amo le vacanze classiche, quelle dei villaggi turistici. preferisco viaggiare in luoghi dove ci sono cose da vedere e da fare che non sia stare in panciolle su una spiaggia a crogiolarsi al sole.
sia ben chiaro: non ho nulla contro le persone che lo fanno, anzi le invidio per come riescono a rilassarsi.

io invece sono sempre in movimento, non mi fermo quasi mai.

e poi la sera torno a “casa”.
sì perché l’albergo lo chiamo casa.
mi viene naturale farlo. non che a casa ci stia male, ma trovo casa in ogni posto che vado.
quest’anno è toccato a Lione chiamare casa un piccolo albergo del centro.
la stanza era proprio piccola, ci stava giusto il letto, un comodino, un piccolo scrittoio sotto al televisore appeso al muro. l’armadio era una nicchia ricavata nel muro e il bagno aveva giusto lo spazio minimo per la tazza, il lavandino e la doccia era davvero microscopica, nascosta dietro una tenda bianca.

ma è stata casa…

ma quest’anno qualcosa è cambiato.
quest’anno avevo una vera casa che mi aspettava.
una casa vera, con le pareti solide e alte, coi pavimenti in legno che scricchiolavano al passaggio, con le alte finestre da cui entrava la luce del giorno, con una cucina e un sacco di stanze e armadi nascosti nel muro.
e giochi di bimbo sparsi per terra e “Shaun vita da pecora” in dvd e in tedesco.
una casa che non mi aspettavo.
una casa dal cuore caldo e accogliente.
una casa dove sentirsi bene.
una casa che faceva dimenticare di essere in vacanza.
non so come spiegarmi.
era come essere proprio a casa.
era un piccolo cuore caldo in un’altra città diversa dalla mia.
e so che quel cuore, quando si muoverà verso altri luoghi sarà sempre un porto sicuro dove fare rotta.
sarà esagerato, ma vi assicuro che la sensazione provata è stata quella e andarmene è stato davvero difficile, perché sono stato proprio bene.

“Fare la valigia al ritorno di un viaggio è sempre complicato. Non tanto per le cose che compri e non sai dove far stare… quanto per quello che hai aquisito, non acquistato. Senza nulla togliere ai viaggi precedenti questo mi ha lasciato qualcosa in un momento in cui ne avevo veramente bisogno.
Forse non sapevo di cosa avevo realmente bisogno. Forse non so nemmeno cosa mi “sono portato via” o cosa mi hanno donato, ma so che ne avevo bisogno e adesso andare via è difficile come non è mai stato.
Potrei dire di poter chiamare “casa” un posto diverso da casa mia, dove tra meno di 24 ore sarò di nuovo.
Forse è esagerato, dirà qualcuno. e forse potrei dargli ragione, in un’altra dimensione.
Sono stato accolto come un vecchio amico e come un amico me ne sono andato.
Certo di portarmi nel cuore le persone che mi hanno accolto così generosamente voglio dire che finchè non ci rivedremo serberò i minuti passati assieme con cura.
Lo prometto su Cthulhu Nadia.
grazie.”

ho scritto questo post la sera prima di partire, quando cercavo di sistemare le cose dentro la valigia.
che è sempre difficile farcele stare tutte, stavolta era impossibile farcela.
mi ha lasciato un carico di calore e umanità come non mi accadeva da tempo, tanto tempo.
non so se riuscirò a spiegarmi e a farvelo comprendere, ma ci voglio provare.
non ti conoscevo se non per la voce, che era una voce tra tante, anni addietro. una voce che poi è diventata un viso su Facebook.
su Facebook cerco di avere tra gli amici le persone che mi piacciono sul serio, persone che non riesco a vedere o sentire tutti i giorni e persone che non ho mai visto, ma che sento di avere qualcosa in comune.
quest’anno ho preso la decisione di incontrare quelle persone che non conosco dal vivo.
piano piano arriverò da loro con la mia piccola valigia e la mia macchina cattura istanti e sarò felice di averli conosciuti.
loro non so.
anche se di solito sono una persona educata e discreta, alcuni dicono fin troppo.
ma gli anni e le esperienze mi hanno reso così, forse un po’ rude e distaccato, ma vi assicuro che sotto sotto batte un cuore.
capace di emozionarsi ancora per un sorriso e una parola dolce e sincera.
giuro, ho provato a fare lo stronzo, ma non ne sono davvero capace.

meglio così.

non lo farei nemmeno bene.
ma non è di me che volevo parlare, no.
volevo parlare di te e volevo ringraziarti sul serio per tutto quello che avete fatto in questi giorni.
non mi avete fatto sentire un estraneo, mi avete accolto a braccia aperte e avrei voluto stringervi forte tutti e due prima di partire.
forse quello di cui avevo bisogno (mamma mia quante volte ho ripetuto questa parola in questo post) era sentirsi così: benvoluto.
almeno questo è quello che ho percepito; io non so che impressione posso aver fatto.
molti amici mi dicono che non sono un tipo facile, che sto sulle mie.
dicono che sono rispettoso dell’altro e che tengo la mia vita privata per me.
ho imparato a farlo con gli anni, ho imparato a lasciarmi andare poco alla volta e mai al primo incontro.
ho imparato a scriverlo qua.

però quello che mi è rimasto addosso è stata una sensazione di calore e di accettazione come mai mi era capitato.
forse mi manca questo, o meglio forse avevo bisogno di essere accolto.
davvero, se penso a voi penso a casa.
è stata una bella esperienza, tre giorni che sono parsi di più.
pastis e champagne.
zio viene.
le foto, le centinaia di foto.
la cena da Chez Abel e il vino in fondo alla via (tra l’altro l’unica cosa che sono riuscito a offrire).
sono tutte cose che serberò nel cuore, con cura.
i cappuccini al mattino che mi hanno salvato da una colazione sicuramente terribile.
insomma grazie per tutto.

davvero di cuore.
grazie.
(se sembra troppo esagerato fa lo stesso: m’importa sega).

seduto al pub.

04 domenica Ott 2015

Posted by emanuele in me, ricordi

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anima, incontri, mano, pub, ricordi, ritono al futuro, sfiorarsi, vino

ho 75 anni. tutti i venerdì sera vado al pub vicino a casa. il proprietario mi chiama per nome. un nome che però mi ha dato lui perchè io non ho mai voluto dirglielo.
e così mi chiama John.

un nome qualsiasi. forse l’ha preso da qualche bottiglia che fa bella mostra dietro il bancone.

ormai mi ci sono abituato. è quasi un anno che ci vengo. anzi, a pensarci bene, è proprio un anno adesso.

18 novembre 2015.

una data che per qualcuno non significa nulla, ma nel mio passato è stata una data importante.

entro e saluto. mi vado a sedere al mio solito posto, un tavolino in un angolo poco illuminato, mi piace perchè nessuno mi disturba. nessuno si accorge di me e soprattutto nessuno ha voglia di conoscere un vecchio di 75 anni.

ordino la solita birra, anche se stasera avrei voglia di qualcosa di caldo, perchè sento freddo dentro. ma c’è un ricordo che mi scalda il cuore.

e il ricordo sta per entrare dalla porta.
si apre la porta, lui ti fa entrare mentre sistema l’ombrello nell’apposito portaombrelli.

saluta il barista che risponde con un sorriso, vi chiede in quanti siete.
– due – rispondi tu.
si guarda in giro e individua un tavolino davanti al mio.
vi guardo mentre vi sedete, tu le tieni la sedia mentre lei si sfila la giacca.
lei siede difronte a me, mentre tu mi dai le spalle; siete distanti il giusto per non sentire quello che vi state dicendo.

ma conosco il discorso a memoria, me lo sono ripetuto per 30 anni, ogni notte prima di andare a dormire lo ripetevo a me stesso per non dimenticare.

ma quello che mi soprende è la tua bellezza, il tuo sorriso così radioso è luminoso e mi fa venire le lacrime agli occhi.
mando giù la birra e mi perdo nei tuoi occhi. sono profondi, infiniti e posso vedere di riflesso i miei, gli occhi di 30 anni prima. gli occhi non ancora appannati dall’età.
gli occhi che si potevano perdere nei tuoi tutte le volte che desideravano.

tu sorridi, mentre bevi il vino e muovi le mani mentre ci spieghi cosa hai fatto durante il giorno. ci piaceva starti a sentire, la tua voce era calda e bassa, non era mai monotona.
ero così impegnato e perso nel seguirti che non avevo praticamente ancora toccato il bicchiere.

nel frattempo io ero passato alla seconda birra.

tu parlavi e tenevi il bicchiere con la mano sinistra mentre ogni tanto spostavi i capelli dietro l’orecchio, mi stavo perdendo nei ricordi e non sentivo la stanchezza che portavo dentro da tanto tempo.

poi a un certo punto la conversazione si fece più tranquilla, e la mia mano si poggia proprio davanti alla tua, le dita tamburellano sul tavolo di legno e iniziano una danza che porta a leggeri sfioramenti.

ti mordi il labbro inferiore e abbassi leggermente gli occhi, le ciglia fanno ombra sugli zigomi e le nostre dita si intrecciano e mi accorgo che le mie dita rovinate dall’artrite hanno un fremito e si contraggono come se stringessero le tue.

cala il silenzio in tutta la sala e credo di sentire i cuori battere all’unisono, poi una canzone si fa spazio tra il silenzio.
la nostra canzone.

la ascolto ancora adesso quando voglio ricordare questa sera.
mi alzo e passandovi vicino mi perdo ancora una volta nei tuoi occhi, gli sguardi si incrociano per un attimo e mi sorridi.
un sorriso delicato che mi porterò dentro per un bel po’.

stanotte il mio mantra avrà un significato differente.

pensando a te. (post lungo, anzi lunghissimo…)

29 sabato Ago 2015

Posted by emanuele in caffé, me, profumi, racconti, ricordi, vita

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Tag

baci, caffè, domani, futuro, insonnia, passato, sogni, sonno

ci sono immagini che mi appaiono nella mente, così, da sole, senza che nessuno ce le infili. e così rimangono finché non iniziano a venire a galla.
e così c’è sto cielo azzurro che fa quasi male guardarlo diritto, senza nuvole e con un vento tiepido.
e poi c’è questa strada che non finisce più, con il suo silenzio e i suoi alberi che fanno ombra.
e poi ci sono io che cammino.
il vento muove la mia maglietta mentre i passi sollevano una polvere sottile che pare quasi sabbia.
e c’è musica, dentro le mie orecchie.
buona musica per me.
che magari, se fate i bravi, un giorno vi faccio anche la mia playlist.
forse.

quindi ci sono io che cammino verso non so dove di preciso, ma credo che il trucco stia nel camminare.
e non pensare.
perché finché non penso va tutto ok.
perché se non penso tu non ci sei, e allora le cose vanno bene.
tutto fila liscio e non ho preoccupazioni.
le stelle continuano ad apparire in cielo tutte le notti, ma quando penso a te hanno un significato differente.
l’aria stessa ha un sapore diverso.

è tutto più frizzante, più vivo e più colorato.
più vivido, per dirla con una parola sola.

quello che succede quando penso a te è una cosa frizzante.
e dolce.
come un buon moscato.

e se ti penso ti vedo piccola, con quel maglione troppo largo e sformato, con le maniche rovinate a forza di tirarle giù. con l’elastico in vita che non tiene più da quanto lo sforzavi per coprirti le gambe, d’inverno, seduta sul divano a guardare la tv e bere thé bollente.

nella mia mente tutto cambia, il tempo scorre con delle regole tutte mie.
il futuro diventa passato e io invece di guardare il futuro mi trovo a guardare il nostro passato.

è mattina e io mi sono alzato presto per fare un po’ di lavoro arretrato.
ti ho lasciata dormire con la testa appoggiata sul materasso e i capelli sparsi a ventaglio.
li ho sempre amati i tuoi capelli lunghi, anche quando per un periodo li hai voluti tenere corti perchè ti davano un’aria più seria.
che poi sei seria anche coi capelli lunghi.

solo che…
solo che coi capelli lunghi sembri quasi una bambina vista da dietro.
comunque mi sono alzato presto per lavorare, ho fatto una bella doccia e poi ho messo su la moka.
dalla cucina si vede la camera da letto e i tuoi piedi spuntano dal piumone, li muovi piano sintomo che ti stai per svegliare. alzo il fuoco sotto la moka così che il rumore e il profumo ti sveglino.

ho voglia di abbracciarti anche se fino a pochi minuti fa eravamo nello stesso letto a pochi centimetri uno dall’altro.
non te l’ho detto ma sono alcune notti che non faccio che guardarti mentre dormi e io non dormo nemmeno un poco.
ti guardo e penso a quanto ero solo prima di conoscerti, a come hai riempito la mia vita giorno dopo giorno.
a come ci siamo completati e compensati.

tu con i tuoi maglioni e io con i miei tatuaggi che spuntavano dalle magliette dalle maniche corte anche in inverno.
e mi sono sempre chiesto perchè ti sei voluta mettere con me.

ma non mi hai mai voluto rispondere, ti sei sempre limitata a sorridere con gli occhi lucidi e poi nascondevi il viso coi capelli e tiravi la testa indietro lasciando scoperto il collo e le vene pulsanti di vita.
nel frattempo il caffè è venuto su e tu non ti sei ancora alzata, ma è presto, e fuori il tempo è fatto per starsene a letto.
mi verso il caffè nella tazza che mi hai regalato per il mio compleanno: ci sta disegnato un teschio messicano con i cuori negli occhi e la scritta cafè; giro lo zucchero di canna e vengo in camera a vedere a che punto sei del sonno.

mi appoggio allo stipite, come nei migliori film romantici, e ti guardo mentre la luce filtra tra le persiane; non c’è abbastanza luce per svegliarti e io preferisco lasciarti dormire ancora un poco. mi trasferisco in studio dove comincio a lavorare agli articoli lasciati indietro.

sbadiglio: ho un po’ di sonno arretrato e spero che il caffè e il lavoro me lo facciano passare. bevo e scrivo e mi stiro fino a che non sento i muscoli allungarsi e stendersi fino a quasi staccarsi dalle ossa.
mi alzo e sgranchisco le gambe, guardo l’ora e comincia a essere tardi: sono quasi le 11 del mattino e tu ancora non ti sei alzata. allungo il collo per percepire dei rumori provenire dalla camera: niente.

torno in cucina per versarmi un bicchiere d’acqua e magari mettere su un’altra moka per vedere l’effetto che fa sul mio cervello dell’altro caffè.
butto un occhio alla camera e i tuoi piedi sono spariti, mi sporgo ancora un poco per vedere se ti sei rannicchiata come quando dormi profondamente, ma non riesco a vederti sotto il piumone.
alle volte sei così piccola che sembri quasi sparire.

accendo il gas e metto su la caffettiera, entro in camera, non ci sei e mi chiedo dove tu sia finita.
torno in cucina passando dal bagno e sei davanti ai fuochi: indossi un maglione lungo che ti arriva a metà cosce.

– buongiorno – mi dici tu girandoti verso di me.
– buongiorno a te – rispondo sorridendo.

i tuoi capelli profumano mentre li accarezzo e mi avvicino alla tua spalla nuda.
– sta per salire su il caffè – mi dici tu.
– mi sei mancata – ti dico all’orecchio.
– mi fai il solletico – dici tu tirando su la spalla e scoprendo ancora di più la pelle chiara e profumata.
– mi piace farti il solletico – ti dico sfiorandoti l’orecchio sinistro e il collo.
– scemo – mi dici tu.
– lo so –
– dai – dici tu – cosa è sta storia che ti sono mancata? – mi chiedi prendendomi il viso tra le mani.
– così – dico io sentendo un gusto amaro salire lungo la gola – era per dire –
– ehi – mi accarezzi delicatamente e sorridi – va tutto bene, forse hai fatto un brutto sogno questa notte –

mi perdo nei tuoi occhi profondi.
– si forse è stato solo un brutto sogno –
mi baci le labbra piano.
hai un sapore dolce, come in un sogno di quando sei regazzino e baci quella ragazza bellissima che sta seduta in fondo all’autobus quando vai ogni giorno a scuola.

– che facciamo oggi? – mi chiedi accarezzandomi le braccia, seguendo i segni dei tatuaggi che aumentano mesi dopo mesi.
– tu che vuoi fare? – ti chiedo spostando i capelli – usciamo o ce ne stiamo a guardare serie tv seduti sul divano? –
– e se facessimo l’amore tutto il giorno? – mi dici tu mordendoti il labbro inferiore.

– potrebbe essere un’ottima idea – ti rispondo baciandoti la fronte.
– ma prima il caffè – dici tu respingendomi.

mi sento girare la testa, forse è il poco sonno e tu mi accompagni in camera premurosa, mi fai sedere sul letto e tutto gira mentre appoggio la testa sul cuscino…

poi sogno.
sogno di quella ragazza in fondo all’autobus con i capelli lunghi e i maglioni sformati, piccola da sembrare una regazzina di “prima” con gli occhi svegli e il sorriso timido.
la sogno e ti trasformi in te e le stelle si accendono con mille colori e ricordo il nostro primo bacio che deve ancora arrivare, e le passeggiate a chiar di luna e i caffè e le serate a teatro.
e i discorsi sotto casa prima di baciarsi e andare via e poi tornare ancora indietro quando il portone ancora non si era chiuso e baciarsi ancora una volta e un’altra e un’altra.

che poi ci saremmo rivisti il mattino dopo per andare a scuola.

e ti penso. ti penso a te che verrai e sarai tutto questo e anche di più: sarai realtà.

stasera.

12 venerdì Giu 2015

Posted by emanuele in me, pensieri, ricordi

≈ 9 commenti

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birra, labbra, luna, notte, ricordi, rosso, stelle

stasera è sabato sera.
no, non è vero: è venerdì sera.

ma dentro la mia testa è sabato. e vorrei bere una birra dopo l’altra per sbronzare la testa e il cuore.

vorrei farlo se domani non dovessi andare al lavoro. e invece ne bevo solo una e gli occhi si velano comunque un poco.
un poco di tristezza li velano.

si sa che le sbronze non sono sempre allegre. stasera non sono sbronzo.

e stasera non è sabato sera. ma vorrei mandare giù un paio di rosse, di quelle con il retrogusto amaro, che però ti lasciano quel gusto buono in bocca, sul palato e sulla lingua.

e stasera vorrei averti seduta davanti a me, tu, che non so chi tu sia.
capelli sciolti, del colore che piacciono a me.
guardo i riflessi della birra sotto la luce del pub e poi guardo le punte dei tuoi capelli tra le tue dita curate.
hanno lo stesso colore.

e lo sai che quando muovi le dita sul bordo del bicchiere io seguo quei movimenti come ipnotizzato, guardo le tue dita e poi il boccale che porti alla bocca con un movimento lento e studiato.

le tue labbra rosse come ciliegie.
baci quasi il bicchiere e io mi perdo nei miei pensieri e nei tuoi lineamenti perfetti.

ordino un’altra birra, ancora una mi dici tu.
si, stasera ne ho bisogno, stasera ho bisogno di sentire la testa leggera e quando arriva faccio tintinnare il boccale sul tuo.

tu sorridi e mi dici, salute.
sorrido e tu di rimando.
i tuoi capelli fanno ombra sul tuo viso.

mi piacciono le ombre che si formano, quell’incontro tra chiari e scuri sulla tua pelle, le tue labbra attaccate al bordo del bicchiere, la schiuma fresca sulle mie labbra e poi, e poi il bordo del bicchiere sulle mie ed è quasi come se si incontrassero.

le nostre labbra.

e tu sorridi e spezzi l’incanto appoggiando il boccale al tavolo di legno ruvido.
mi passo le mani tra i capelli corti, li ho tagliati oggi che mi parevano troppo lunghi, come la barba che cresceva incolta e mi faceva più vecchio dei miei anni.

troppi alle volte sulle mie spalle strette.
pochi quando sento il sole sulla pelle.

troppi pensieri per quegli occhi, mi dici tu sapendo che non ho più il coraggio di guardare i tuoi.
abbastanza, rispondo io bevendo ancora, un lungo sorso senza prendere fiato, poggio il boccale mezzo vuoto.

o mezzo pieno.

rossi i capelli, rossa la birra e rosse le labbra.
rosse le unghie.

rosse le mie guance. come quando ero sedicenne.
quando sentivo il sole sul viso d’estate e forse mi innamorai per la prima volta.

ma ora voglio solo bere ancora una birra.
ma tu mi fermi.

poi come ci torni a casa?
a piedi, rispondo io sorridendo.

faccio due passi e mi sveglio o forse mi fermo a guardare le stelle e la luna in cielo…

vuoi compagnia?

forse avrei dovuto bere una birra di meno.

ho dimenticato una cosa importante.

20 sabato Set 2014

Posted by emanuele in flashback, me, profumi, ricordi

≈ 2 commenti

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dimenticare, mare, me

ho dimenticato una cosa importante.

gira in testa come l’aria di una canzone a cui, però, non riesci a dare il titolo.
gira e gira senza fretta.

e come sempre quando pensi intensamente a una cosa che hai dimenticato quella ti sfugge via come acqua tra le dita.

dita che tormento per ricordarmi le cose, o forse per dimenticarle, quelle cose.
non ricordo.
e forse è un bene non ricordare.

poi, poi tutto arriva come un fiume in piena.
inizia con un rumore, il mare sotto la terrazza che riflette la luce del sole; poi i profumi dell’estate, il suo profumo.
e allora è come essere lì seduti uno davanti all’altra; i tuoi occhi e il tuo sorriso illuminano la sera che arriva.

mi alzo e tu sorridi, non mi pare vero di essere con te, come se fosse la prima volta; e non serve altro, non servono parole né gesti.

basti tu che mi guardi e non parli e mi riempi il cuore e il cielo.

ora che ho ricordato quella cosa importante le mie dita fremono e sono incontrollabili, graffiano e tirano la pelle e il sangue le arrossa e esce a piccole gocce.

piccole gocce e così dimentico tutto e si ferma tutto, solo il rumore del mare rimane solo sfondo.

ho dimenticato una cosa importante.

storie dal passato #1

10 giovedì Lug 2014

Posted by emanuele in racconti, ricordi

≈ 16 commenti

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aneddoti, ciliegie, genitori, matrimonio, storie

inauguro con questo post alcune storie dal passato dei miei genitori.
crescendo ho imparato a parlare coi miei sempre di più e vengono fuori un sacco di aneddoti interessanti e divertenti.

ieri ero a prendere un aperitivo coi miei genitori e non so come si è finiti a parlare di matrimonio e di interferenze delle suocere.
fatto sta che mia madre ricorda quando sua mamma lasciava il sacchetto con le ciliegie attaccato alla porta di casa.

– ma mamma hai lasciato le ciliegie, non potevi suonare? –
– ma figurati, Luciano è tornato dal lavoro dopo un mese che era fuori, siete giovani e ho pensato che volevate stare un po’ per i fatti vostri. ah le ciliegie sono per Emanuele –

to be continued

un treno, un profumo, un ricordo.

21 venerdì Feb 2014

Posted by emanuele in me, ricordi, vita

≈ 20 commenti

Tag

amore, liceo, madelein, mezzanotte, notte, occhi verdi, primo bacio, profumo, ricordi

treno.
sto cercando di leggere “l’estate e altri saggi solari” di Albert Camus.
scrivo “sto cercando” perché sono alle prese con la prefazione, non amo moltissimo le intro altrui, anche se sono i curatori del libro, ma stavolta voglio farlo.
sarà che Camus con “Lo straniero” mi ha veramente folgorato, e quindi voglio approfondire la conoscenza.
ma non è di questo che voglio parlare, no. questo post nasce da un profumo.
un profumo che ti ributta indietro a 23 anni fa.
un profumo che non avevo più sentito ed è come tornare a essere diciottenne.
estate, Sestri Levante.
lei si chiama Valeria, ha un anno in meno di me; occhi verdi, grandi, capelli lunghi, lisci e biondi come l’oro.
bellissima.
era impossibile non innamorarsi di lei, e io mi innamorai. come un pesce lesso, come si può innamorare un ragazzo di 18 anni.
ero in terza liceo, ne venivo da una bocciatura scontata per me e a sorpresa per i miei e così mi fecero cambiare sezione.
dalla H alla C.
erano gli anni di quelli della Terza C, la fiction di una classe dell’ultimo anno del Liceo Classico.
io facevo lo scientifico. ed ero una frana.
mi barcamenavo, tra il 5 e il 6 stiracchiato, bocciato già una volta e sempre rimandato a settembre; non un vero e proprio genio.
fatto sta che si doveva iniziare da capo, con le amicizie.
prima stavo in succursale, lontano una vita da un complesso scolastico ben oltre gli spazi da me coperti nei giri pomeridiani.
ora stavo a 10/15 minuti a piedi dalla Sede.
al quinto piano, dove il quarto si diceva fosse pericolante.
un vecchio Convento dai grandi finestroni e gli scalini neri, in ardesia, scavati negli anni di salite e discese.
il corrimano di legno.
il rumore delle scarpe e delle voci mentre si saliva e ci si salutava ad ogni piano.
ma io mi facevo i fatti miei.
me li sono sempre fatti, così, per una forma di cortesia verso gli altri e verso me stesso.
non ricordo il mio secondo primo giorno di scuola, ma ricordo che mi inserii subito.
una volta ero più socievole, meno problematico, più illuso del mondo e di chi stava dentro.
con gli anni un un po’ di cose le ho imparate.
anche se faccio sempre gli stessi errori, ma questa è un’altra storia.
ora gli avvenimenti precisi non li ricordo perfettamente, sono veramente passati tanti anni, so che lei non c’era quando sono arrivato, ritornò in quella classe qualche mese dopo, mi pare a gennaio.
come il mercato di riparazione.
eravamo pochi, due o tre ragazze; Carolina, Loretta e poi Valeria.
il resto tutti maschi in piena fase ormonale, ma con la passione per i giochi di ruolo che facevamo a casa di un amico che ogni tanto rivedo volentieri.
D&D, Warhammer Fantasy, che pomeriggi entusiasmanti; ricordo la mamma di Paolo, che ci portava l’aranciata e i popcorn per fare merenda, e avevamo già le idee per unire i giochi di ruolo da tavolo con il pc.

Ma adesso vorrei non divagare, sto cercando di raccoglierei i ricordi, separarli dai sentimenti con un setaccio fine, non perché non ci fossero i sentimenti, ero un tutt’uno coi sentimenti all’epoca, ma perché vorrei rendere i fatti per bene.
Che diventano più reali e più vicini.

Fatto sta che lei torna, bella. La vedi subito che è brava, intelligente ma con qualcosa dietro quegli occhi verdi, grandi, che faceva intravedere un po’ di tristezza.
Io non ricordo come è nato tutto quanto; studiavo, poco lo ammetto, ma i professori erano competenti e non troppo severi.

Mi piaceva stare lì.

I compagni di classe erano in gamba, ci si divertiva davvero tanto nelle ore di buco e nei pomeriggi, si sognava di più; vivevamo due vite: a scuola di mattina e poi al pomeriggio a casa di Paolo o Federico a giocare a D&D eravamo nani, elfi e maghi.

Cose impensabili adesso.

Arrivò poi il giorno in cui il professore di Storia e Filosofia, professor Fossa, ci assegnò un compito a casa e mi mise in coppia con Valeria.

Studiammo a casa mia, non successe nulla, niente sguardi sdolcinati né mani che si sfioravano, ma da quel momento iniziammo a vederci sempre più spesso.

E’ stato tutto un crescendo, fino alla sera in cui andammo a vedere “Due dozzine di rose scarlatte” con Andrea Giordana a Teatro; se non ricordo male era il Teatro della Tosse, ma non ci metto la mano sul fuoco.

Fatto sta che tornammo a casa in autobus. Io avevo dentro un desiderio immenso di dirle che mi piaceva, che volevo stare con lei.

Lei aveva già capito tutto, le ragazze sanno sempre tutto prima. Poi con me è facile, io non ci capisco mai niente, confondo le cose, i segnali, e poi mi perdo negli sguardi e non so come tornarne indietro.

Così andò quella sera, tornammo a casa in autobus, l’accompagnai fin sotto casa sua.

Ci sedemmo a parlare sotto il suo portone, era tardi, ma non faceva freddo, avevo la gola secca e anche lei.

Ricordo qualche brandello di frase.

– ho sete –
– anche io, ci vorrebbe un bicchiere d’acqua –
avevo il cuore che andava a mille,  non avevo veramente il coraggio di dirle quello che provavo, e lei mi guardava e probabilmente si chiedeva perché non la baciassi.

e così feci per andarmene, non so perché arrivai a quella conclusione.
lei mi fermò e mi baciò.
fu il bacio più bello, quello che ricordo ancora con maggior piacere, ci sorrido ancora quando mi capita di pensarci.
solo che lo faccio sempre di meno, ricordo sempre meno dei tempi passati.
non c’è malinconia e non è vivere nel passato, sono cose che sono successe e che andrebbero ricordate più spesso, tutto qua.
e quindi ci baciammo, stretti sotto il suo portone di casa ed era quasi mezzanotte.
a quel bacio ne seguirono altri e poi ancora.
quando tornai a casa credo camminai a un metro da terra.
e non c’erano telefonini per mandare il messaggio che ero arrivato, per augurarle la buonanotte.
la buonanotte ce l’auguravamo di persona, con un bacio sulle labbra e perdendosi negli occhi dell’altro.

ecco. Quel profumo mi ha fatto venire in mente tutto questo; ho impiegato un poco a sistemare i ricordi e metterli nero su bianco, ma ce l’ho fatta.
solo che ho scatenato un’altra ondata di ricordi, di altri baci della mezzanotte. Di come le tre storie più importanti della mia vita siano state con ragazze mancine.
curioso.

ogni tanto la rivedo, Valeria, è sposata e hanno una figlia adottata cinese, bellissima.
e anche lei è ancora bellissima.

E sorrido sempre quando la vedo.

 

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