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la lettera è pronta.
viene sempre con me.
se dicessi che la porto nella giacca, sul cuore, direi una bugia.
è nella tasca posteriore destra dei miei jeans preferiti.
è venuta con me a Parigi, quasi perché si impregnasse dell’atmosfera di quella città.
non so se è accaduto.
non l’ho più riletta da quando sono tornato.
Parigi ha cambiato la mia visione dei viaggi.
ho scoperto che mi piace viaggiare, anche all’estero, da solo.
sono io che faccio il tempo, tutto si condensa nei miei piedi e nei miei occhi.
piedi che camminano e occhi che osservano e registrano.
tutti e due.
i marciapiedi, le scale, il terriccio dei Giardini della Tuileries sono saliti dai miei piedi.
stanchi mi hanno portato a spasso a Parigi, su per le scalinate del Sacro Cuore.
e ogni passo imprimeva un segno sulla lettera, nella tasca posteriore destra dei miei jeans preferiti.
si è colorata di blu, ha sofferto le mie stesse fatiche.
stupide vertebre schiacciate che mi rendono insensibile la coscia, sempre la destra.
e la fatica e la bellezza di quelle strade e di quelle scale metropolitane si sono impresse nei miei occhi, nelle piante dei miei piedi che ora parlano francese un po’ meglio di quando sono partito.
chissà per quanto tempo porteranno memoria di quegli angoli ventosi e del freddo patito aggirandomi silenzioso tra le tombe dei famosi e degli sconosciuti.
il silenzio.
adoro il silenzio che c’è attorno a me quando cammino in un’altra città.
lo stesso silenzio che c’è quando si scrive una lettera o la si legge.
solo il fruscio delle pagine che girano, simile al rumore dei miei piedi nella pace e tranquillità di certi luoghi.
non ho mai trovato lugubri o tristi i cimiteri.
tutt’altro.
e la lettera si è imbevuta anche di quei silenzi.
ci vogliono anche quelli quando si scrive e quando si legge.
sono come delle piccole pause in cui ci si ferma, si sospira, si rileggono le ultime righe, si cancella qualcosa o si aggiunge qualcosa qua e là, si asciuga una lacrima che scende piano o si sorride e poi si riprende desiderosi di arrivare in fondo per sapere come va a finire.
perché nelle lettere conta l’inizio e quello che c’è in mezzo, ma la fine, la fine, la fine e quello che ricorderemo più a lungo.
come una storia che finisce.
porteremo nel cuore quel ricordo a lungo, poi verranno fuori le cose brutte e poi le cose belle.
almeno a me è sempre successo così.
e allora cerchi di finire con il botto, con un finale che stupisca e lasci il segno; che le faccia alzare il viso da quelle parole con gli occhi pieni di stupore e che le faccia sussurrare: grazie.
un piccolo grazie detto dal cuore.
il cuore.
alla fine quello che conserva tutto quello che i miei piedi e i miei occhi registrano è lui.
quello che non ho mai menzionato, quello che lavora nell’ombra.
quello che fa andare avanti piedi stanchi e occhi che si chiudono.
detta il ritmo dei miei passi e delle mie parole quando ti scrivo una lettera.
quella lettera che porto sempre con me nella tasca posteriore destra dei miei jeans preferiti…