Mi sveglio presto.
Fuori sta incominciando ad albeggiare, guardo per un poco la luce che cambia gradualmente.
Ti osservo.
Nel sonno hai il viso disteso, le tue rughe intorno agli occhi sono sottili, le sfiori piano, delicatamente.
Mi tiro su.
Tu ti muovi, mi cerchi con la mano.
– dormi ancora amore mio, è presto – dico baciandoti la testa.
Sorridi nel sonno.
Il pavimento è fresco e c’è un bel venticello che arriva dal mare, le finestre della sala sono spalancate e le tende svolazzano riempiendo la stanza.
Penny dormiva arrotolata sulla sua piccola poltrona.
Quanto mi era mancato svegliarmi accanto a te, in questa casa di mare e di luce.
Prendo Demetra, ha la batteria carica e la memoria già inserita, torno in camera e ti scatto un paio di fotografie.
Ricordo ancora con emozione quelle foto di un pomeriggio di fine inverno, erano così emozionanti che piansi guardandole, avevano una forza dentro, un amore così grande, un’emozione così unica e reale, tangibile, che scoppiai in un pianto incontrollato facendotele vedere come si mostra la cosa più bella a qualcuno che amiamo.
Guardo le foto che ho appena scattato e mi viene una voglia di svegliarti per farti vedere quanto sei bello.
Ma sono le cinque e mezza, è meglio aspettare ancora un poco.
Mi siedo sul divano a guardare l’albeggiare sul mare, le luci che cambiano, i riflessi del cielo sul mare calmo.
Quanto, quanto mi è mancato.
Mi cingo le gambe al petto con le braccia, come se fossi tu ad abbracciarmi, un paio di lacrime scendono dai miei occhi.
Penny tira su il muso assonnato, mi guarda e scondinzola.
Basta un cenno del capo e corre subito da me, si stira e poi salta sul divano, la abbraccio e mi lascio avvolgere dal suo profumo buonissimo, sa di sale e di quando era cucciola, mamma mia che buffa che era da piccola.
Infila il naso tra le mie braccia cerca il mio naso e mi lecca il mento, la stringo forte: è magra quanto te.
Ci riaddormentiamo così, abbracciate sul divano finchè mi sveglio con il sole che entra piano dalle finestre, sono le sei e picca e mi tiro su.
Cammino in questa casa silenziosa, mi sembra di essere quasi sola e così guardo e tocco ogni cosa con delicatezza.
Nel corridoio che unisce l’ingresso alla cucina ci sono tutte le nostre fotografie più belle, si susseguono senza un ordine preciso.
Si va dai miei palazzi colorati dai tramonti fiammeggianti di Genova ai volti dei bambini che mi guardano con quegli occhi che ti attraversavano l’anima, passando per le schiene degli abitanti della mia città, della nostra città che abbiamo fotografato sotto ogni angolazione e luce.
Sotto la pioggia e il sole cocente, con le mani intirizzite dal freddo e sofferenti per il caldo o il vento gelido che si infilava dentro i vestiti.
Accarezzo le cornici, guardo me riflessa negli occhi di quei bambini e provo le stesse emozioni che ho provato quando ho scattato.
Ricordo ogni singolo scatto.
Tutte le volte che ho schiacciato quel pulsante la macchina ha catturato quello che il mio occhio aveva già inquadrato, scattato, modificato e stampato.
Era già tutto dentro di me.
Demetra non ha mai sbagliato un colpo, è stata una fedele compagna di viaggio.
Sempre.
Sbircio in camera: dormi ancora profondamente, nudo con il tuo corpo lungo e magro, abbronzato dal sole e dal mare e colorato di tatuaggi.
Ti lascio dormire ancora un poco, anche se vorrei svegliarti per fare ancora l’amore con te, di mattina, con il sole che sorge.
Sospiro.
Arrivo davanti al tuo studio, il mio una volta.
Sembra quasi una vita fa.
Un’altra vita.
Ricordo quando andammo a scegliere la scrivania, mi innamorai di quel tavolo di legno coi cassetti e le loro serrature.
Accarezzai quel legno e capii che doveva essere mio.
E che fatica facemmo per portarlo a casa, ma quante soddisfazioni ci diede.
Mi affaccio con il timore di vedere tutto cambiato e invece è ancora come quando stavo qua, con te.
Alle pareti ci sono solo mie foto, i miei scatti vincitori dei concorsi, il mio primo scatto per la Magnum.
Piango quasi.
Occupa mezza parete.
Mi gira un poco la testa.
– buongiorno – la tua voce calda di sonno mi fa sobbalzare il cuore.
– hei, buongiorno – rispondo.
Mi sorridi.
– hei pulce hai un viso da sonno, potevi dormire ancora un poco –
– Ti cercavo –
Mi sfiori le labbra con le tue.
– se vuoi puoi entrare, so che sembra un museo, ma lo uso tutti i giorni –
– wow il mio primo museo! – esclamo abbracciandoti.
– certo! –
Mi tieni stretta a te tra le tue braccia lunghe dai gomiti pizzuti.
Odori di notte e dell’amore che abbiamo fatto prima di addormentarci.
Entro piano, tu mi guardi dallo stipite di una porta che non c’è mai stata e mai abbiamo voluto mettere.
Doveva esserci continuità di luci, suoni e vento.
Il mare doveva entrare ovunque in casa nostra.
Il Mac è acceso e girano le nostre foto come screensaver, guardo la cura con cui tieni le cose sulle scrivania.
Il mouse, la tastiera pulita ma coi tasti usurati da tutti gli articoli che abbiamo scritto fino a tarda notte, mi sa che non l’hai mai cambiata.
Accarezzo quel legno ruvido che mi ha visto piangere e ridere, faticare sulle foto fino all’alba, ha subito i caffè rovesciati per sbadatezza, frustrazione e per quando facevamo l’amore.
Mi siedo alla poltrona.
– come ti ci trovi? –
– sembra di non essere mai andata via – rispondo accarezzando le maniglie dei cassetti.
– apri pure –
– posso? –
– certo –
Apro il cassetto di destra: ci sono delle cartelle con il mio nome sopra.
– e queste? –
– apri, apri –
Ho un po’ timore, apro la prima e dentro ci sono ritagli di giornali, riviste, le mie interviste a diverse testate fotografiche, i biglietti degli ingressi per le mie mostre.
– tu sei pazzo –
– un pochetto –
– e io ti ringrazio… per tutto quanto –
Mi mordo il labbro inferiore.
Respiro e chiudo gli occhi.
Mi tiro su e mi avvicino a te.
– grazie, davvero scheletrino –
– grazie a te per non esserti mai arresa –
– e a te per avermi sostenuta, sempre –
– ti meriti tutto questo, e non parlo solo del museo personale –
Scoppio a ridere e ti abbraccio, ho voglia di fondere i nostri corpi, stringerci così tanto da sentire i nostri cuori appiccicati l’uno all’altro.
Il vento arriva fino a qui.
Il mare arriva fino a qui.
E’ tutto così perfetto.
– voglio risvegliarmi ancora qua domani mattina – sussurro piano.
– anch’io –