Salii sul treno che erano le 23 e 24.
Faceva freddo e mi ero preso lo scroscio improvviso di un temporale, meno male che ero vicino alla stazione, cercai il mio scompartimento camminando nel corridoio stretto trascinandomi la valigia pesante e bagnata.
Posto numero 105, così c’era scritto sul mio biglietto che stava nella tasca interna della giacca; lo trovai guardando l’elenco dei posti attraverso gli occhiali bagnati, dentro non c’era nessuno, meglio così.
Aprii la porta e il caldo era davvero piacevole, misi subito la valigia sopra il mio posto accanto al finestrino e mi tolsi la giacca appendendola sopra la griglia del riscaldamento.
Chiusi la porta e abbassai il vetro e guardai fuori, la pensilina era praticamente vuota a parte il capotreno che mi aveva salutato con un cenno del capo mentre salivo e una ragazza che stava salendo sulla mia carrozza.
Tirai su il vetro e mi lasciai andare sulla poltrona morbida, presi il libro che stavo leggendo e lo poggiai sul tavolino davanti: aveva la copertina bagnata e così lo misi di traverso sul vetro ad asciugarsi.
Alcune gocce scivolavano lungo il vetro, da piccolo facevo le scommesse su qualce goccia sarebbe arrivata in fondo alla finestra nei pomeriggi piovosi.
Ero figlio unico, non avevo molto da fare quando non c’era qualche compagno di scuola a casa.
Misi gli occhiali sul tavolino e mi rilassai appoggiando la nuca al poggiatesta con la classica veletta bianca dei treni nazionali.
Sentii un po’ di trambusto in corridoio e aprii gli occhi. Apparve la ragazza che avevo visto salire stava trascinando, letteralmente, la valigia nello stretto passaggio, si fermò a guardare i numeri fuori dallo scompartimento, poi mi sorrise e aprì la porta.
– buonasera – disse.
– buonasera – risposi.
Si tolse il cappello di lana e la sciarpa, che buttò sul posto vicino alla porta, poi si sfilò il pesante giaccone di lana che mise sulla cappelliera.
– se è bagnata conviene appenderla qua, si asciugherà velocemente – le dissi indicando la mia giacca.
– oh grazie – rispose tirando dentro la valigia: era davvero enorme – mi sa che potrebbe servirvi una mano –
– certo –
Mi alzai e notai che era alta quanto me, i capelli erano castani raccolti in uno chignon che perdeva qualche ciuffo ribelle, indossava un maglione nero a collo alto e un paio di pantaloni di velluto a zampa di elefante, sembrava uscita da un film francese sul ’68.
Assieme, a fatica, riuscimmo a mettere la valigia nel posto più in alto.
– grazie – disse – mi ero già rassegnata a tenerla a terra o nel corridoio per tutto il viaggio –
– si figuri – risposi sedendomi nuovamente.
Lei sistemò la giacca accanto al finestrino e poi controllò il numero del posto con quello del suo biglietto.
– non credo salirà nessuno – dissi cogliendo il movimento del braccio del capotreno con il fazzoletto verde per segnalare l’immininente partenza al macchinista.
– speriamo – disse sedendosi davanti a me – adoro il posto accanto al finestrino –
Mise il biglietto nella tasca interna della giacca.
– preferisce andare in senso di marcia? –
– no grazie, non ho problemi – rispose sorridendo, poi allungò la mano – piacere mi chiamo J. –
Le strinsi la mano, era calda e aveva la pelle morbida, lo smalto rosso scuro era sbeccato in più punti.
– piacere mio, N. –
Si sistemò i pantaloni passando le mani sulle cosce e poi posizionò il tavolino per metterci sopra due mandarini.
– è di origini francesi? – domandai curioso.
– no – sorrise – mio padre si era innamorato di un’attrice francese da ragazzo e decise che, se avesse avuto una figlia, il nome sarebbe stato quello dell’attrice –
Sorrisi.
Con uno scossone il treno si mosse, ci guardammo preoccupati.
– speriamo bene – dissi a mezza voce.
Quando J. iniziò a pulire uno dei due mandarini il profumo pervase tutto lo scompartimento, lei mi guardò porgendomi l’altro.
Accettai molto volentieri.
– grazie – dissi aprendolo – quando sento il profumo è come se fosse già Natale –
– concordo – disse mettendosene in bocca uno spicchio, aveva le labbra coperte da un velo di rossetto in tinta con le unghie, le guance erano arrossate per via del freddo.
Mentre stavamo gustando i frutti arrivò il controllore.
– buonasera signora – disse toccandosi il cappello, era infreddolito con il naso rosso e la voce roca, fece un cenno nella mia direzione – i biglietti per favore –
Li prendemmo dalla tasca delle rispettive giacche e li passammo al capotreno.
– potrebbero esserci dei rallentamenti sulla linea – disse restituendoci i documenti di viaggio – se volete potete aumentare un poco il riscaldamento dello scompartimento, siete i soli in questa carrozza e se vi dovessero servire delle coperte per la notte li trovate a inizio vagone –
– perfetto – risposi.
– grazie mille – disse J. – ah una cosa – lo fermò sulla porta.
– prego –
– passa il carrello delle bevande? –
– tra una decina di minuti dovrebbe arrivare –
– benissimo, ho una voglia di cioccolata calda – disse sorridendo.
Il capotreno sorrise e chiuse la porta.
– alzo un poco la temperatura? – domandai guardando la stazione sparire sotto la pioggia mista a neve.
– sì – rispose fregandosi le mani – mi sa che sarà una lunga notte –
Girai la rotella sopra la porta verso il rosso, accanto c’era la luce notturna blu pronta ad accendersi quando avremmo spento le luci dello scompartimento.
– scende anche lei a T.? –
– sì – rispose guardando un attimo fuori, gli occhi erano castani con venature verdi – cambio città – aggiunse indicando la valigia sopra la sua testa.
– per lavoro o per amore? –
Che domanda da impiccione.
– scusi la domanda forse innoportuna –
– non si preoccupi N. – disse lei accavallando le gambe – vado per lavoro e che ne dice se ci diamo del tu? –
– mi sembra un’ottima idea visto che saremo compagni di viaggio fino al mattino –
– bene –
– e che lavoro fai? –
– secondo te? – mi sfidò J.
La guardai attentamente: nell’insieme me la immaginavo a fare l’attrice di teatro, un po’ ricercato e sperimentale, anche se avrebbe potuto benissimo fare la cantante in un locale molto chic.
– sono indeciso tra attrice e cantante –
Rise di gusto coprendosi la bocca con una mano, gli occhi chiusi.
– niente del genere – rispose divertita – però mi ci vedrei a cantare in qualche locale con le luci basse e il fumo che sale lento dai tavoli mentre i clienti sorseggiano cocktails –
– in effetti ti ci vedrei –
– ho una pessima voce – rispose abbassando il tono – riprova –
Guardai le sue mani: erano sottili e curate a parte lo smalto.
– ballerina classica? –
– no – rispose secca – ho un pessimo senso del movimento –
Stavo terminando le idee.
– tu per esempio sei uno scrittore o un professore… – disse guardandomi.
Credo feci una faccia davvero stupita.
– ci ho preso? –
La guardai negli occhi e per un attimo era come se fossi da un’altra parte.
– è colpa del mio maglione con le toppe sui gomiti, vero? –
– un poco sì – fece lei candidamente – però hai proprio il viso e l’espressione di uno che potrebbe insegnare all’università –
– ok a questo punto tu fai la veggente – sparai io.
– chi può dirlo? –
Si sciolse lo chignon e lunghi capelli mossi scesero lungo le spalle arrivando quasi la gomito.
– no, scherzo – si affrettò a dire, come rassicurarami – mi sono appena laureata in lingue e sto andando a T. per un lavoro in una scuola media dopo le vacanze natalizie –
– complimenti – le dissi sincero.
– grazie – fece raccogliendo nuovamente i capelli e fermandoli con un nastro nero – in effetti è stata una bella botta di fortuna, conosco una delle insegnanti e ha fatto il mio nome, certo è solo una supplenza, ma meglio che niente e poi l’importante è iniziare, giusto? –
– giustissimo –
Nel frattempo il treno stava percorrendo la città con le vie illuminate dalle colorati luci natalizie, e la pioggia lentamente si trasformò in neve.
– nevica – dissi indicando fuori.
– che meraviglia – i suoi occhi si accesero di riflessi multicolore – ho sempre amato il Natale –
Per un po’ guardammo fuori mentre la città lasciava spazio al vuoto e il nero era intervallato da evanescenti coni di luce che mostravano fiocchi sempre più grandi e un mare che gonfiava i muscoli infrangendosi sulle spiagge nere e fredde.
– quindi tu che insegni? – chiese riportandomi dentro lo scompartimento.
– etologia –
– interessante – fece lei – e leggi Simenon – fece guardando la costa del libro che era rivolto verso di lei.
– lo adoro –
– anch’io – poggiando lo sguardo sul libro curiosa – posso? –
– certo –
Lo prese con delicatezza, la copertina era un poco sgualcita, il verde era sbiadito e il bianco era ingiallito, era un libro di seconda o forse terza mano comprato in una bancarella quello stesso autunno.
– la neve era sporca – lesse il titolo a voce alta – questo non l’ho mai letto – aggiunse restituendomelo.
– se vuoi posso prestartelo –
– e come faccio a ridartelo? – domandò appoggiandosi al sedile.
– sto andando anch’io per lavoro a T. – iniziai – dopodomani ho un incontro con il rettore dell’università per stabilire una serie di incontri e poi dovrei subentrare a un collega che il prossimo anno andrà in pensione –
– è una bella notizia –
– che il professore in questione vada in pensione? –
– anche, ma lui non lo conosco – rispose socchiudendo gli occhi – ma il fatto di conoscere un’altra persona in una nuova città mi mette di buon umore –
– hai perfettamente ragione –
Ci interruppe il suono del carrello delle bevande, si fermò davanti allo scompartimento e un ragazzo aprì la porta.
– buonasera – disse – desiderate qualcosa? –
Ci guardammo e all’unisono rispondemmo: una cioccolata, grazie.
Ognuno pagò la sua quando ci passò il bicchiere fumante e pesante, se ne andò dicendoci che sarebbe ripassato la mattina alle 7 per la colazione, ma se volevamo sarebbe stato aperto anche il vagone ristorante a quell’ora.
Ringraziammo in coro; J. unì le mani attorno alla tazza e gli occhi le si illuminarono, il vapore saliva dalla bevanda bollente.
– sembra davvero molto buona – disse guardandomi.
– ci vuole proprio – dissi guardando fuori i coni di luce susseguirsi con pause di nero e vuoto.
– fai attenzione che è davvero bollente – fece socchiudendo gli occhi mentre avvicinava le labbra al bicchiere.
Così sorseggiando scoprii che aveva lasciato amici e famiglia ed era partita per venire a studiare qui e adesso aveva impachettato nuovamente la propria vita per partire nuovamente.
– una vita in viaggio – le dissi appoggiando il bicchiere sul tavolino, accanto al libro.
– davvero – rispose bevendo ancora la sua cioccolata – meno male che adoro viaggiare, specie in treno –
Ci fu un rumore sinistro e sentimmo i freni mettersi in funzione; il suo sguardo andò al mio bicchiere che tenni con una mano mentre il mio correva alla sua valigia che decise di rimanere al suo posto nel porta bagagli in alto.
– che sarà successo? – domandò guardandomi.
Una luce rossa illuminava il nostro finestrino, la neve scendeva rossa ed era un poco inquietante.
– c’è il semaforo rosso –
– speriamo non ci sia un’interruzione sulla linea –
– davvero – risposi cercando di mantenere un tono neutro.
Per un attimo il tempo sembrò fermarsi, come cristallizzato in quella che pareva una sfera di neve al contrario, la neve che si agitava fuori e dentro due piccole figure che si guardavano intorno cercando di capire cosa stesse succedendo.
Poi piano piano il treno si mosse e la luce tornò verde, rassicurante.
– meno male – fece J. sottovoce, come per evitare che il treno potesse nuovamente fermarsi.
Annuii.
Parlammo un po’ di Simenon e di libri, di alcuni film usciti da poco al cinema e di come lei stesse cercando di smettere di fumare.
– ho ridotto ormai il consumo di sigarette a tre al giorno –
– bè da un pacchetto che mi hai detto direi che non è male –
– da Gennaio voglio smettere – fece una pausa portando la mano alla giacca – sul serio –
Poi guardò l’orologio, era quasi l’una e mezza e noi eravamo perfettamente svegli, ma forse era il caso di dormire un poco, mi proposi per andare a prendere una paio di coperte.
– se trovi anche un paio di cuscini ti offrirò una cena con il mio primo stipendio –
– andata – dissi uscendo nel freddo del corridoio, arrivai in testa al vagone e nell’armadio trovai le coperte e la mia cena.
Mi voltai a guardare la carozza, c’era una sola luce accesa, un piccolo rettangolo di luce dorata che illuminava un pezzo di corridoio, sembrava che provenisse da un camino acceso, faceva sembrare quello scompartimento un luogo accogliente a cui tornare in una notte fredda e nevosa.
Aprii la porta con il mio bottino.
– coperta e cena – dissi porgendole il tutto.
– perfetto –
– spengo la luce? –
– sì, però posso leggere un poco del libro che ti sei gentilmente offerto di prestarmi? –
– certo –
– non ti da noia la luce? – domandò accendendo la lampadina sopra il suo posto.
– non si vede nemmeno – risposi spegnendo la luce centrale: la penombra calò azzurra nello spazio che sembrò rimpicciolire.
– è vero – disse J. sistemandosi il cuscino sul finestrino, mi sedetti e le passai il libro, si tolse le scarpe e si avvolse nella coperta facendosi piccina sul sedile davanti a me.
Non ci fosse stata la luce a illuminarle il viso in maniera teatrale era come se fossi solo, meno male che invece c’era lei.
Allungai le gambe facendo scivolare il sedile in avanti, misi la coperta sui pantaloni consunti e me la tirai su, fino al petto.
In quella penombra illuminata dai lampioni sporadici, ma cadenzati, la potevo osservare bene: le lunghe ciglia formavano ombre lunghe sugli zigomi e le labbra si muovevano mentre leggeva, gli occhi seguivano le righe e divorava le pagine una dopo l’altra.
Era rilassante vederla leggere.
Chiusi gli occhi un attimo, quando li riaprii lei era ancora intenta a leggere, le pagine alla sua sinistra erano aumentate, mi aveva quasi raggiunto, vedevo il mio segnalibro sempre più vicino.
Tirò su gli occhi e si allungò la testa per vedere se fossi sveglio.
– ti ho svegliato N.? – chiese a bassa voce.
. no, credevo fossimo già arrivati – risposi sorridendo.
– no, manca ancora un bel pò di tempo – disse J. – fuori continua a nevicare sempre più forte, poco fa siamo passati davanti a una stazione ma, i cartelli erano coperti dalla neve – abbassò il libro e spense la luce.
– vuoi dormire? – le chiesi.
– tu? –
– mi piace avere qualcuno con cui parlare nella notte –
– anche a me –
E così mentre il treno scorreva piano lungo il suo tragitto obbligato noi ci raccontavamo tutto quanto: la vita e i sogni, le delusioni, le speranze che riponevamo in noi stessi e negli altri.
Il treno iniziò a rallentare.
– un altro semaforo? – domandò senza spostare la testa dal cuscino; gli occhi si erano abituati alla luce e potevo vedere il suo volto dalla pelle chiara stagliarsi nella penombra, i capelli che aveva sciolto si spandevano sul cuscino e le incorniciavano il viso.
– pare di sì – dissi avvistando la luce rossa.
Quando si fermò del tutto vidi degli uomini sulla massicciata con delle lampade.
– c’è gente fuori – dissi tirandomi su, lei si girò allarmata a guardare le luci che si muovevano nella tormenta di neve, non si capiva cosa stesse succedendo.
Dopo qualche minuto si accese la luce nel corridoio ed entrambi guardammo verso la porta dove si materializzò il capotreno.
– scusate – disse aprendo – c’è un problema sulla linea che stanno cercando di risolvere –
– ah – fece J. visibilmente preoccupata, la voce tremava un poco.
– siamo lontani da un albergo e le strade intorno sono interrotte dalla fitta nevicata, il treno manterrà il riscaldamento anche da fermo, quindi non c’è problema –
– sa per quanto staremo fermi? – domandai ansioso.
– non lo so – disse lui voltandosi alla sua destra – ora vado, tornerò presto a darvi notizie, scusate ancora a nome delle ferrovie, se può farvi piacere il vagone ristorante è aperto per bere qualcosa di caldo –
– perchè no? – disse J. sveglia.
– logicamente offerto – aggiunse sorridendo – ora vado a più tardi –
Chiuse la porta e J. si tirò su stirandosi, mi alzai e adesso così vicini potevo sentire il profumo che aveva addosso oltre a una nota leggera di sudore.
– caffè? – proposi.
– almeno tre – rispose ridendo – a questo punto voglio stare sveglia per tre giorni –
Si avvolse nella sciarpa e uscimmo nel corridoio di nuovo buio, attraversammo il passaggio tra le due carrozze e arrivammo al ristorante stavolta deserto e decisamente meno illuminato.
– buonasera – disse una voce dietro il bancone – cosa possiamo offrirvi? –
– direi un paio di caffè – risposi.
– lunghi – aggiunse J.
– subito, accomodatevi pure dove desiderate, volete che accenda le luci? –
– no grazie – rispose lei – la lampada del tavolo andrà più che bene.
Ci andammo a sedere e davanti a due caffè continuammo il discorso interrotto, andando indietro nel tempo finchè la memoria lo permetteva.
FINE PRIMA PARTE