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“come hai iniziato a pensarci, basta che inizi a non pensarci più.”

alle volte il caso ti mette davanti frasi come questa.
e ti accorgi che sono due giorni che ci pensi.
c’è qualcosa che non va.
chiamala ansia, malumore, fastidio, preoccupazione… che ne so.
so che sta dentro e rode. gira e rigira attorno al problema e non trova soluzione.
o meglio la soluzione ci sarebbe anche.
forse è solo paura. forse é solo che non ne hai più voglia.
che vorresti essere libero di parlare e scrivere come vuoi senza dover pensare a che pensano gli altri.
ci vorrebbe qualcuno che ti desse una spinta, accompagnata da un sorriso.
– vedrai che andrà tutto bene –
– e se non va? –
– e se va? –
– già… –
che ti rispondi da solo. che sei diventato cinico.
che i problemi degli altri cominciano a starti stretti.
che se non c’è nessuno che ha voglia di ascoltarti allora i sassolini diventano macini.
che hai paura di non saper più ascoltare e, ancora peggio, di parlare.
scrivi.
scrivo.
e ora sto seduto su una panchina in attesa del treno per tornare a casa.
ascolto Lene Marlin: Playing my game.
ricordi di liceo. dei primi anni universitari. odore di cd masterizzati.
come scrivi tu devo solo iniziare a non pensarci.
come è iniziato finisce.
come il mal di testa.
come il singhiozzo.

che alla fine io non ho 40 anni. forse 30. ma secondo me meno ancora.
che poi a 18 anni ero così. già.
morigerato. riservato. pronto ad ascoltare il prossimo.
aiutarlo. senza dire no.
ora alcune cose non voglio ascoltarle.
sono pesi in più. fa brutto dirlo, ma sono poche le persone a cui permetto di confidarsi con me (non io con loro, quelle forse sono ancora meno…)
fatto sta che ci penso e non mi schiodo da quella paura, da quella strana sensazione che prende alla bocca dello stomaco.
me la tengo e forse andrà via. come le nuvole grigie sopra di me.

“come hai iniziato a pensarci, basta che inizi a non pensarci più.”

non è facile.